Blindare costituzionalmente l’unione tra uomo e donna, come unica forma possibile di matrimonio. Era l’obiettivo che chiesa cattolica e destra croata s’erano prefisse. È stato raggiunto, per via referendaria, domenica.

Alle urne s’è presentato il 38% degli aventi diritto, meno della metà più uno degli elettori. Ma non era necessario il quorum. Appena il 34% dei votanti ha bocciato il quesito referendario, che prevedeva la modifica dell’attuale norma costituzionale sui matrimoni, limitandola – appunto – alle sole unioni tra uomo e donna. L’iniziativa, che comprime i diritti delle minoranze gay, è stata promossa da un’organizzazione cattolica, U ime obilelji (In nome della famiglia), che con l’appoggio delle gerarchie ecclesiastiche ha raccolto nei mesi scorsi 750mila firme.

Il voto di domenica ha notevoli ricadute politiche. Certifica innanzitutto che gli equilibri si stanno rispostando a destra. La crisi – che non rallenta – ha spappolato il paese economicamente e socialmente, trascinando verso il basso le quotazioni dell’esecutivo a trazione socialdemocratica guidato da Zoran Milanovic. Era salito al potere a fine 2011, scalzando dal potere l’Hdz, il partito storico della destra fondato dall’ex presidente Franjo Tudjman, un ex comunista che, quando la Jugoslavia iniziò a vacillare, spinse sul pedale del nazionalismo e andò allo scontro frontale con Belgrado. L’Hdz, prima delle elezioni, era stata scossa da una serie di scandali enormi, il principale dei quali aveva coinvolto l’ex premier Ivo Sanader, condannato a dieci anni per corruzione. Pareva, a molti, che le sarebbe servita una “traversata nel deserto” prima di ritrovare la competitività elettorale. Invece, già alle europee dello scorso aprile, convocate per inviare a Strasburgo i primi deputati croati in vista dell’ingresso del paese nell’Ue, avvenuto il primo luglio, la coalizione composta dall’Hdz e dal Partito dei diritti, formazione agguerritamente radicale, ha ottenuto più voti dei partiti progressisti. Anche in quell’occasione l’affluenza alle urne è stata molto bassa, fermandosi intorno al 20%. Così come al referendum sull’ingresso in Europa (43%), nel gennaio 2012. La disaffezione alle urne è un sintomo della frustrazione che attraversa il più giovane membro, il ventottesimo, del club comunitario. Per la destra e per la chiesa, sempre influente, è facile cavalcarla.

Il voto sui matrimoni, come suggerito da un Milanovic assai preoccupato, è anche il preludio di un’altra esplosiva sfida in cui la destra s’è imbarcata: la compressione dei diritti dei serbi (10% della popolazione). Un’associazione di veterani – i Quartieri generali per una Vukovar croata – ha annunciato di aver raccolto le firme necessarie a promuovere un referendum sull’uso dell’alfabeto cirillico, prediletto dai serbi, nelle targhe degli edifici pubblici. L’obiettivo è consentirlo nelle sole aree dove la minoranza serba ha un peso demografico dal 50% in su (la legge attuale fissa la soglia al 30%).

Tutto è partito da Vukovar, la città che nel 1991 fu distrutta dai militari serbi e dalle squadracce della “tigre” Arkan. Per la destra, che ripudia l’ipotesi – minoritaria nella società – che Tudjman possa averla fatta volutamente capitolare per indurre la comunità internazionale a riconoscere l’indipendenza di Zagabria, è il simbolo della “guerra patriottica” e deve sprizzare “croaticità” da tutti i pori. Dunque va bandito il bilinguismo. Sono mesi che la lobby dei veterani ingaggia iniziative in tal senso.

Milanovic ha spiegato che non permetterà che si tenga il referendum sul cirillico, aggiungendo al tempo stesso che il governo punta a fare in tempi brevi una legge sulle unioni civili, che compensi i diritti sottratti domenica alle minoranze sessuali.

Intanto, altro fatto che marca in negativo i primi mesi della Croazia nell’Ue, non si spegne la polemica su Josip Simunic. È il calciatore che al termine della recente vittoria contro l’Islanda, che ha permesso alla nazionale croata di qualificarsi ai mondiali, ha scandito sotto la curva un coro del movimento ustascia, che prese il potere durante la seconda guerra mondiale, schierandosi con il Terzo Reich. Qualcuno sottolinea che l’episodio simboleggia l’irrisolta questione del confronto, non sufficiente, con il passato. Per ora Simunic se l’è cavata con una multa, neanche troppo salata.