Lo striscione “Merry Christmas and Happy Austerity”, messo sul cantiere della futura nuova sede del Consiglio europeo a Bruxelles e il gruppo di manifestanti che avevano previsto di assediare i capi di stato e di governo nella zona “europea” della capitale belga si sono trovati un po’ soli ieri: Donald Tusk, il nuovo presidente del Consiglio Ue, ha difatti deciso di racconciare il vertice e ha mandato tutti i casa dopo la cena di giovedi’, annullando la riunione prevista ieri mattina. E’ il nuovo corso, più semplice, più efficace. Semplice, ma non molto efficace, è la conclusione del Consiglio, che ha approvato, come era prevedibile, il piano Juncker per gli investimenti, ma non ha risolto nessuno dei nodi che continuano a dividere i paesi sulla sua interpretazione e sulle modalità di applicazione. Tusk taglia corto: c’è “accordo su tre cose: 1) la messa in opera urgente del Feis (il piano Juncker); 2) impegno rinnovato ad intensificare le riforme strutturali; 3) sforzi sostenuti per assicurare finanze pubbliche sane”. Sono le “tre azioni che costituiscono la nostra strategia per accelerare la ripresa”. Nei fatti, “urgente” è un modo di dire, visto che solo dopo il via libera, con riserve, dei capi di stato e di governo, solo a gennaio la Commissione darà la versione definitiva del Feis. Poi l’Europarlamento voterà a giugno, e solo tra sei mesi potranno eventualmente partire i nuovi investimenti. Ma i nodi restano: Renzi insiste su “un primo passo, non certo l’ultimo, ma buono”, perché per la prima volta sarebbe stato fatto riferimento alla “flessibilità” dell’applicazione del Fiscal Compact. In realtà, il Consiglio si è limitato a “prendere nota” della proposta della Commissione di escludere i finanziamenti degli stati per il Feis dal calcolo dei deficit. I servizi di Juncker hanno precisato che, anche nel caso passi definitivamente questa esclusione, i paesi che sforano (Italia a Francia in prima linea) potranno comunque venire “sanzionati” tra tre mesi per i loro scarti.

Per la Germania, il risultato del vertice è sufficiente. Non c’è stato nessun impegno preciso sui finanziamenti, come erano disposti a fare alcuni paesi, Italia, Slovenia, Spagna e Finlandia. Ma su questo impegno è caduta la doccia fredda di Bruxelles: il Consiglio “non è una conferenza di donatori”. La Francia ha frenato sulle dichiarazioni di finanziamento, perché vuole vederci più chiaro: sarà possibile proporre co-finanziamenti tra capitale privato e la Caisse des dépôts et consignations (istituzione finanziaria pubblica)? La Germania, con la Gran Bretagna e i nordici, continua ad insistere che dovrà essere privato il capitale che permetterà la moltiplicazione dei pani e dei pesci destinata a trasformare 5 miliardi della Bei e 16 miliardi di “garanzie” della Ue in investimenti di 315 miliardi. Hollande si vuole ottimista: addirittura “il piano potrà avere un effetto più grande di quanto ci si immagini”, auspica. “315 miliardi è una base che puo’ arrivare a molto di più”, creare un “effetto valanga” grazie alla fiducia riconquistata. I paesi complessivamente hanno presentato programmi per più di mille miliardi. Germania e Francia preparano assieme un progetto per la transizione energetica e il digitale. Mario Draghi ha accolto “con favore” il via libera formale al Feis. La Bce sarà chiamata a svolgere un ruolo-chiave, se saranno sconfitte le reticenze della Germania.

Sul tavolo c’era anche la crisi ucraina. Non sono state varate nuove sanzioni contro la Russia. Hollande, che spera di poter consegnare la prima nave Mistral a Mosca, crede nella “désescalade” con Putin. Domenica o lunedi’ ci sarà una nuova riunione del gruppo di contatto. Ma il Consiglio non risponde alla richiesta di soldi di Kiev e lascia all’Fmi il compito di trovare i 15 miliardi reclamati dall’Ucraina per evitare di profondare nella crisi.