Era una delle richieste esplicite degli Stati uniti all’Italia, verificare i contratti di fornitura delle reti 5G delle aziende italiane con partner cinesi, in particolare Huawei e Zte. Secondo gli Usa entrambe le società sarebbero una longa manus del partito comunista, in grado di mettere a rischio la sicurezza nazionale dei paesi.

Il governo precedente sul tema aveva traccheggiato, congelando l’ipotesi di utilizzare i «poteri speciali» che permettono di proteggere quanto ha «rilevanza strategica per l’interesse nazionale». Il problema del governo precedente era la relazione con la Cina, nonostante il pressing di Trump. Aver firmato il Memorandum sulla via della seta, ha messo l’Italia sui binari cinesi e la scelta di attivare il golden power veniva letta come un possibile sgarbo a Pechino.

Pronti via e al primo cdm il nuovo governo – per iniziativa del neo ministro dello sviluppo economico Patuanelli, il dicastero che con il sottosegretario Geraci era stato il più attivo nel rincorrere Pechino – ha deciso di utilizzare il golden power sulle operazioni che coinvolgono Tim, Vodafone, Wind Tre, Fastweb e Linkem.

A preoccupare di sicuro Pechino sono soprattutto i contratti di Wind e Fastweb, rispettivamente con Huawei e Zte, proprio i due spauracchi principali di Trump.

Come comunicato dal cdm, «per Linkem e Vodafone l’attenzione è puntata sugli accordi per l’acquisto di beni e servizi per la realizzazione e la gestione di reti 5G; per Tim è relativa agli accordi conclusi prima del 26 marzo su apparati e sistemi di comunicazione rispetto ai quali la tecnologia 5G può essere considerata una naturale evoluzione».

Un’iniziativa di cui sarà interessante scorgere le reazioni cinesi che già ieri, attraverso la prorpia agenzia di stampa statale, aveva espresso notevole scetticismo sulla scelta di Luigi Di Maio come ministro degli esteri.