La manovra avanza spedita. Ma lo fa grazie ai voti dei verdiniani, almeno al Senato. A palazzo Madama 181 voti sulla deroga ai saldi contabili (dove era necessaria la maggioranza assoluta di 161 e con i Sì anche di Mdp) e 164 sulla nota di aggiornamento al Def, solo tre in più della maggioranza. Poche ora dopo si passa alla Camera e qui i Sì toccano rispettivamente quota 358 e 318. «La risoluzione al Def, che Mdp non ha votato, ha avuto una maggioranza amplissima, oltre 160. Nella sostanza il governo è solido», twitta soddisfatto Matteo Renzi. Mentre Paolo Gentiloni sottolinea la «prova di responsabilità notevole».
DAL PUNTO DI VISTA POLITICO, lo strappo di Mdp invece pesa eccome. In mattinata Padoan è costretto a tornare sui suoi passi – martedì aveva proferito la parola «sanità» una volta sola sostenendo che «la spesa sanitaria rispetto al Pil cala solo perché aumenta il Pil» – aprendo al taglio dei superticket (i 10 euro su ogni ricetta per prestazioni di diagnostica e specialistica introdotti dalla Finanziaria 2011 che pagano 12 milioni di italiani) richiesto dalla capogruppo Maria Cecilia Guerra: «Il sistema sanitario è sicuramente un ambito in cui andranno valutate misure di miglioramento ed efficientamento», abbozza al Senato il ministro dell’Economia. A quel punto arriva perfino un ordine del giorno del capogruppo Pd Luigi Zanda: «Rivedere gradualmente il meccanismo del cosiddetto super ticket al fine di contenere i costi per gli assistiti che si rivolgono al sistema pubblico» e «un complesso di interventi in materia sanitaria» compreso un incremento delle risorse in conto capitale per gli investimenti in sanità.
UN ORDINE DEL GIORNO che non basta a Mdp: «Serve un cambio di rotta – spiega Cecilia Guerra – e le parole non bastano».
ORA IL CONFRONTO SI SPOSTA sulla legge di Bilancio. Stando al timing ufficiale, la manovra deve approdare in Parlamento entro il 20 ottobre ed è lì che Mdp aspetta di vedere tradotti in misure gli impegni del governo verso maggiore equità e maggiore redistribuzione delle risorse.
AD OGGI SI CONOSCONO infatti solo i saldi di bilancio. Sarà una manovra di circa 20 miliardi. Il governo indica l’entità dei tagli della spesa pubblica a 3,5 miliardi di euro solo il prossimo anno; altre coperture verranno da «entrate aggiuntive nell’ambito della lotta all’evasione» stimate a 5,1 miliardi di euro. Le «risorse per la competitività e l’innovazione», che includono anche le decontribuzioni per i giovani, nel 2018 ammontano a 338 milioni che lieviteranno in modo impressionante nel 2019 – quando Padoan non ci sarà più – a quota 2,1 miliardi e ancor di più nel 2020: quasi 4 miliardi. Gli stanziamenti per lo sviluppo sono pari 300 milioni nel 2018, che passeranno a 1,3 miliardi nel 2019 e a 1,9 miliardi nel 2020. I fondi per la lotta alla povertà, reddito di inclusione sociale incluso dunque, sono 600 milioni nel 2018, 900 milioni nel 2019, 1,2 miliardi nel 2020.
CI SONO POI LE RISORSE accantonate per rinnovare il contratto dei dipendenti pubblici bloccato da 9 anni, ma sul conteggio rimangono voci contrastanti.
UNICA CERTEZZA: nessuna risorsa per le pensioni. E ieri questa certezza ha prodotto la reazione dei sindacati. Cgil, Cisl e Uil hanno deciso di scendere in piazza sabato 14 ottobre. Non si tratterà di una manifestazione nazionale in grande stile ma di presidi in tutte le province, davanti alle sedi delle Prefetture, per chiedere il congelamento dell’innalzamento automatico dell’età pensionabile e più risorse per l’occupazione giovanile e per gli ammortizzatori sociali.
Il tutto in vista dell’incontro chiesto – e non ancora ottenuto – con Gentiloni e di quello – promesso – da Poletti quando saranno fissate le misure della manovra.
PER TROVARE LE RISORSE necessarie per intervenire sulle pensioni, basterebbe recuperare anche una parte infinitesima dei 107,7 miliardi di euro di evasione fiscale denunciati martedì in audizione al Senato dal presidente dell’Istat Giorgio Alleva.