Paolo Gentiloni si è alzato dal letto con un paio di giorni di anticipo sul previsto per presiedere il consiglio dei ministri. Sarà una coincidenza, ma è un fatto che nei corridoi del Parlamento il malore del premier era indicato come l’unico elemento a favore del voto in primavera, in contrasto con i molti che invece lo ostacolano: lo stato comatoso delle riforme di Renzi, la turbolenza nei rapporti Italia-Ue, la sentenza della Corte sui referendum Cgil e soprattutto il clima che si respira nei palazzi. In poche settimane si è passati dalla frenesia ossessiva e dal clima di rissa permanente del triennio renziano a una rilassatezza che a molti sembra una specie di ritorno alla normalità. Gentiloni ha voluto stoppare le voci sullo stato di salute e di conseguenza del governo.

Ma è anche probabile che il premier non volesse mancare alla riunione che doveva dare, e ha dato, il definitivo semaforo verde all’unico vero successo dell’era renziana: la legge sulle unioni civili. Non era un ddl del governo. Era uno dei pochissimi provvedimenti importanti partiti in Parlamento in questa legislatura. Ma è anche vero che il governo si è poi speso al massimo per garantirne l’approvazione, nonostante la contrarietà dell’opposizione di destra ma anche dei centristi della maggioranza.
Perché la legge fosse cosa davvero fatta mancavano i tre decreti attuativi usciti dalla riunione di ieri. La senatrice del Pd Monica Cirinnà, prima firmataria della legge, spiega che ora l’unione civile, come il matrimonio, potrà essere celebrata dal comandante sulla nave o in aereo in caso di pericolo di vita, che il matrimonio all’estero tra italiani dello stesso sesso avrà in Italia gli stessi effetti dell’unione civile, che non servirà il nulla osta per gli stranieri provenienti da Paesi nei quali l’omosessualità sia oggetto di sanzioni legali e che per celebrare le unioni varranno le stese deleghe del matrimonio.

Il coro di commenti è comprensibilmente positivo, anche se anche il fiore all’occhiello del governo Renzi presenta la sua pecca. Il prezzo pagato per sbloccare le unioni civili era stato il rinvio del capitolo sulla stepchild adoption a una nuova legge complessiva sulle adozioni, attesa con ansia non solo dalle coppie gay, essendo le adozioni una delle materie in cui l’Italia è in generale più arretrata. Nonostante la promessa di varare quella legge in tempi brevissimi, il governo Renzi se ne è dimenticato.
«Le riforme non si fermano», ha commentato Gentiloni dopo aver «ringraziato per l’affetto ricevuto». Una frase detta apposta per confermare la «continuità» con l’opera del suo predecessore, anche se quelle riforme sono già state fermate, quasi tutte, o dagli elettori, o dalla Corte costituzionale, o dal governo stesso.

Sempre in nome della «continuità», stavolta nel «garantismo», Gentiloni ha confermato gli incarichi del comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette, indagato nel quadro dell’inchiesta sugli appalti Consip. Qualche giustizialista strepiterà, ma non è certo quello il problema per il governo.

Qualche guaio arriverà invece con la mozione di sfiducia contro il ministro degli Esteri Alfano, annunciata dalla Lega. Il solo averla messa in campo rischia di porre sotto i riflettori gli intrecci tra Ncd e la messe di affari e clientele che fioriscono intorno al business sugli immigrati. E’ il partito che ha in quota il sottosegretario Castiglione, uomo di fiducia di Alfano e figura chiave nella torbida storia del Cara di Mineo, e scoprire che in quel grosso affare definito da Buzzi più prezioso del traffico di droga è onnipresente non migliora l’immagine pubblica né del partito in questione, né del governo di cui fa parte, né del Pd che se lo è scelto per alleato.