L’educazione sentimentale di Edo inizia col papà che gli raccomanda stropicciandoglielo con forza di tenerlo sempre pulito, perché quella è «la parte più importante dell’uomo». Anni dopo Edoardo detto Edo (Matteo Creatini) è un adolescente timido e un po’ lunare, la testa riccioluta e il corpo sottile che sprofonda nelle magliette oversize, passa l’estate al mare con l’amico del cuore (Nicola Nocchi) ossessionato dal sesso. O meglio dall’idea di «trombare finalmente», di perdere la verginità. «Se non trombiamo entro l’estate siamo due sfigati» ripete come un mantra davanti al mare. Edo però non ci sta, lui la sua «prima volta» vuole essere innamorato, e nel suo cuore c’è Bianca (Francesca Agostini), l’amica di sempre, sono cresciuti insieme ma lei dalla provincia, Pisa, è sempre scappata, adesso ha pure un fidanzato a Milano e aspetta la risposta per entrare all’università a Parigi.

«Il mio destino è riconcorrerti» le dice lui che la vede di continuo nei suoi sogni erotici. Ma soprattutto c’è il suo segreto, quel «pisellino» rimasto intrappolato nella pelle che gli fa male appena si tocca, figurarsi fare l’amore. Devi circonciderti gli dice il medico ma il ragazzino è terrorizzato, paura del dolore, imbarazzo, vergogna persino di dirlo ai suoi genitori.

E ancora di più visto che intorno tutti sembrano non pensare che alla «scopata», il padre, la sorellina che inanella un linguaggio crudo a ogni frase e vuole far «trombare» a tutti i costi il cane di famiglia (pure se lui non sembra entusiasta), l’amico, e le ragazze che incontrano in spiaggia, quella un po’ cicciottella che canta in un gruppo e si innamora di lui, e al primo bacio, nel rifugio che era del nonno vorrebbe subito fare sesso mentre Edo le risponde: «Ci conosciamo appena».

Short Skin è il film d’esordio di Duccio Chiarini, sviluppato all’interno di Biennale College,il campus nato due anni fa all’interno della Biennale cinema Il regista toscano come i suoi personaggi lo avevamo conosciuto con il doc Hit the road Nonna, presentato sempre a Venezia, alle Giornate degli autori con molto successo. E sul set si respira un’aria di famiglia – il cane ad esempio, Teagan, è quello dello stesso Chiarini – nella conoscenza del paesaggio geografico e emozionale, dei gesti e delle parole, goffe, impacciate, a volte dolorose dei ragazzini.

L’adolescenza è un riferimento letterario di ogni tempo, e per questo materiale altamente incandescente come quella «prima volta» il cui pensiero segna la vacanza del personaggio. Per questo sono soggetti pieni di rischi e di insidie narrative che il regista invece controlla con delicatezza sensibile. I luoghi del «genere» li attraversa tutti, l’estate che è il tempo dei cambiamenti, il dolore che può essere venire travolti dalla separazione dei genitori, i dubbi sul futuro, la scoperta del proprio corpo, del corpo di un altro, di un desiderio improvviso e poco familiare. Ma (sua la sceneggiatura insieme a Ottavia Maddeddu,Marco Pettenello e Miroslav Mandic) come «la toscanità» che usa (e non abusa) con naturale spensieratezza comica, sa riempirli di sorpresa, e di una fluida verità, che gli permette di ottenere il giusto ritmo con gli attori, tutti molto bravi anche se non profesisonisti, o esordienti.

La «sua» prima volta è dunque quella di un ragazzino, punto di vista che Chiarini non lascia mai. E non capita spesso di varcare la soglia della stanzetta adolescente di un ragazzo alle prese con la sua sessualità. È quasi sempre la ragazza che con le amiche parla «della prima volta», di come sbarazzarsi di questo peso e via dicendo. I maschi sono più distanziati, legati ai commenti sulle bonazze, sul muscolo, su chi è arrivato prima, un po’ rinchiusi nel sapore macho

Il romanzo di formazione di Edo è invece narrato dall’interno contro il luogo comune, svelando fragilità e incertezze maschili, e il problema fisico del ragazzino – il prepuzio chiuso – diviene quasi il contrappunto a questo rito di passaggio; è la paura della sessualità perché fa male ma anche perché vorrebbe che fosse diversa, non il fardello di battutine e ansia che gli incollano addosso gli altri, il mondo esterno, quei personaggi di cui sappiamo poco, e che al regista (giustamente) non interessa riempire.

La sua scrittura è tesa, mai superflua, una geometria che determina il movimento narrativo preciso e insieme lieve, quasi improvvisato. Possiamo intuire della sorellina, anche lei a disagio nel momento in cui non si è più bimbi né grandi, del papà e della mamma, ma è sempre Edo che ci fa scoprire la dimensione segreta del crescere, di un cambiamento che intreccia molto altro.

Alla fine quel pezzettino di pelle, Short Skin volerà via come l’infanzia, Edo troverà l’energia di sfidare l’aria ma senza trionfi machi, con la dolcezza che è il bello di sé, scoprendo una cuore più saldo.