«Il gesto dell’harakiri mi aveva sempre molto interessato. È per questo che mi sarebbe piaciuto fare un film sulla giornata di un samurai: lo vediamo svegliarsi, vestirsi, sistemare i capelli, onorare gli antenati, fare colazione e poi uscire. A quel punto accade qualcosa, commette un errore e per questo è costretto a fare harakiri. L’idea continuava a attraversare la mia testa, e quando è uscito il libro di Takigushi sullo stesso argomento ero molto felice… Un giorno, mentre ero a Cannes, ho visto il manifesto di un film polacco, Madre Giovanna degli Angeli di Jerzy Kawalerowicz: mi ha colpito anche perché in Giappone non avevamo manifesti con quello stile, mi sembrava graficamente molto innovativo. Mi sono chiesto subito come sarebbe stato il manifesto per il film sul suicidio del samurai, e ho pensato all’immagine di un uomo solo seduto in terra prima di fare harakiri… Mi sarebbe piaciuto che il protagonista fosse uno dei sette samurai, e pensavo a Kurosawa come regista; immaginavo che una volta uscito di prigione il samurai era costretto a compiere harakiri. Ho iniziato a scrivere la sceneggiatura, è stato semplice, l’ho completata in undici giorni…».

 

Chi racconta questa storia è Shinobu Hashimoto, lo sceneggiatore dei capolavori di Kurosawa come  I Sette samurai o Rashomon anche se il film a cui fa riferimento non riuscì poi a girarlo con Kurosawa ma alla regia ci sarà Masaki Kobayashi. Harakiri, premio della giuria al festival di Cannes nel 1962 (di cui ha realizzato una «remake» Takashi Miike in Hara-Kiri: Death of a Samurai, 2012) racconta la storia del samurai Hanshiro Tsugumo, la cui parabola suggerisce anche una riflessione critica sull’ l’ipocrisia del potere – «Nel film si vedono le diversità dei nostri punti di vista ma rivedendolo oggi non è poi così male».

Shinobu Hashimoto, che è mancato ieri, aveva cento anni (era nato nel 1918). Il cinema era iniziato per lui durante la guerra con la guida di Mansaku Itami, regista e sceneggiatore dell’epoca del muto (e padre dell’attore e regista Juzo Itami), che con i suoi film rinnova radicalmente il dramma storico giapponese (jidai–geki) inserendo elementi comici e satirici (Eroe senza pari, 1932; Kyojinden, ’38).

La grande  intuizione di Hashimoto è l’adattamento per lo schermo di Nel bosco, il racconto di Ryonosuke Akutagawa da cui nascerà uno dei grandi film della storia del cinema quale Rashomon di Akira Kurosawa, Leone d’oro al festival di Venezia nel 1951, e Oscar per il miglior film straniero nel 1952. Sarà l’inizio di una lunga collaborazione tra i due, durata fino al 1970, anno di Dodeskaden, che darà vita a film di altrettanta grandezza quali  Vivere (1952), Testimonianza di un essere vivente (1955), Il trono di sangue (1957), adattamento del Macbeth shakespeariano, La fortezza nascosta (1958) citato da George Lucas fra le sue principali ispirazioni per Star Wars. La scrittura di Hashimoto è anche all’origine di Summer Clouds (1958) di Mikio Naruse, il già citato Harakiri di Kobayashi per cui scriverà poi L’ultimo samurai, (1967).

Nel 1958 I Want to Be a Shellfish, un ritratto del Giappone postbellico, scritto da Hashimoto per la televisione ottenne un enorme successo. L’anno seguente Hashimoto lo adattò al grande schermo realizzando così anche il suo primo film da regista.