Nel 1918, quando l’arcipelago nipponico era in pieno periodo Taisho, Tokyo non era ancora stata devastata dal terremoto del Kanto (1923) e la Guerra del Pacifico era ancora lontana. E precisamente il 18 aprile del 1918, nasceva nella prefettura di Hyogo Shinobu Hashimoto, uno dei più grandi sceneggiatori giapponesi di tutti i tempi. Hashimoto, che ha festeggiato due giorni fa il suo centesimo compleanno, non sarà un nome conosciutissimo ai non addetti ai lavori, ma la sua penna sta dietro ad alcuni dei più grandi capolavori del cinema del Sol Levante.

Per anni è stato infatti uno stretto collaboratore di Akira Kurosawa, con cui ha lavorato in quasi tutti i suoi maggiori film, da Rashomon a Ikiru, da I sette samurai a Il trono di sangue, una collaborazione che si è protratta fino al 1970 quando co-sceneggiò Dodes’ka-den.
Ma le sue collaborazioni non si fermano con Kurosawa, importante è stato il suo contributo a molti altri lavori che hanno fatto la storia del cinema giapponese, soprattutto durante gli anni sessanta. Nel jidaigeki vanno ricordati almeno The Sword of Doom di Kihachi Okamoto del 1966 o il capolavoro di Masaki Kobayashi, Harakiri, nel 1962, regista con il quale tornò a collaborare anche cinque anni più tardi con Samurai Rebellion.

Nel 1982 per festeggiare il cinquantennale della sua fondazione, la Toho, una delle più grandi case di produzione cinematografiche giapponesi, fra i vari eventi organizzati, decise anche di produrre un film con soggetto, sceneggiatura e regia di Shinobu Hashimoto, uno degli autori giapponesi che più avevano contribuito a rendere grande la compagnia. Quasi a ripagare il lavoro fatto da Hashimoto durante gli anni d’oro del cinema giapponese, la Toho gli diede carta bianca per la realizzazione di Maboroshi no mizumi, Il lago delle illusioni, quello che era il suo secondo film come regista e che si sarebbe però rivelato anche il suo ultimo lavoro, sia dietro la macchina da presa che come sceneggiatore.

Il film infatti fu un totale fallimento di critica e di pubblico e lo choc fu talmente forte per Hashimoto, oramai non più giovanissimo, che decise di ritirarsi dal mondo della settima arte. Come spesso accade in questi casi, con il passare degli anni il lungometraggio ha assunto lo status di film di culto e proprio un mese fa circa è stato proiettato in alcuni cinema della capitale nipponica, un’occasione importante per vederlo e rivalutarlo. Si tratta di un lavoro davvero unico nel suo genere (e il Giappone ne ha prodotti di film particolari e fuori norma in tutti questi anni) che segue le vicende di Michiko, ragazza che lavora in una casa di massaggi, facciata neanche troppo di copertura per una sorta di casa di piacere, nei pressi del lago Biwa.

Ossessionata dalla corsa, la giovane è decisa a fare il giro del lago, il più grande del Giappone, assieme al suo amato cane. Un giorno però trova l’animale morto, ucciso da uno sconosciuto, e cominciano una serie di scoperte ed incontri molto particolari: da qui il film deraglia completamente. Le performance sono quasi amatoriali ed il tono generale del lavoro è una sorta di accozzaglia di generi, specialmente quando leggende e storie del periodo Edo e la mitologia del lago cominciano ad intrecciarsi alla vita di Michiko con un finale che vira addirittura verso la fantascienza. Ci sono sì dei momenti di surreale poesia, ma Il lago delle illusioni resta un mistero, tanto più fitto quanto a realizzarlo è stato uno dei più grandi scrittori di cinema mai nati nell’arcipelago.

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