Com’è la situazione dei civili lungo la frontiera?

Nelle prime ore dell’offensiva le persone fuggivano soprattutto dall’area di confine tra Ras Al Ayn e Tal Abyad [100 km su 300 totali, ndr]. La zona è stata colpita molto duramente. Ma ormai la gente sta lasciando anche altre città.

Erdogan ha detto che gli attacchi sono rivolti soltanto contro postazioni militari. È vero?

Solo nelle prime ore dell’offensiva, da mercoledì sera a giovedì mattina, abbiamo registrato oltre 30 feriti e 9 morti tra i civili. Soprattutto a Qamishlo e Tal Abyad. Ma sono solo una parte, molti altri non siamo ancora riusciti a raggiungerli.

Come cambia il vostro lavoro?

Siamo presenti in tutti i campi di civili del nord della Siria. Dopo l’inizio delle operazioni militari abbiamo dovuto spostare personale e mezzi di soccorso verso la frontiera. Adesso abbiamo 15 ambulanze tra Tal Abyad e Ras Al Ayn. Questa nuova situazione rende ancora più complesso il sostegno umanitario e complica tutto il quadro.

In che modo?

Per esempio nel campo di Al Hol ci sono più di 70 mila persone. Di queste, 15 mila sono familiari degli ex combattenti Isis. Per loro esistono procedure di sicurezza speciali. Appena è partito l’attacco turco hanno creato tensioni. C’è il rischio che questi soggetti, al momento sorvegliati nei campi ma ancora legati a cellule Isis, riescano a fuggire. Sarebbe molto pericoloso.

Secondo il presidente turco Erdogan l’attacco militare serve anche a colpire l’Isis…

(Ride) Tra i primi bersagli dei turchi c’è stata la prigione di Qamishlo in cui sono detenuti i più pericolosi leader del sedicente stato islamico. Se riuscissero a liberarsi?

 

«Emergenza umanitaria Siria del Nord-Est – Rojava», un crowdfunding per sostenere la Mezzaluna rossa kurda