Lo stadio da 14mila posti si chiama Sheriff. E così il complesso sportivo che avvolge l’impianto. A costruirlo, una ditta, Sheriff, che è poi lo stesso nome di una catena di supermercati, pure di un’azienda di telefonia mobile e fissa, di tre depositi di petrolio, di un parcheggio, un hotel e pure una tv. Nella Champions League di settembre, con tutte le grandi d’Europa che affilano le armi del motore, prende un posto a sedere anche lo Sheriff Tiraspol, inserito in un girone con il Real Madrid, l’Inter e lo Shakthar Donetsk allenato da Roberto De Zerbi.
Viene dalla Moldova, uno degli stati meno ricchi d’Europa, con un reddito pro capite da 3300 dollari.

Anzi, no, arriva da uno stato che l’Europa non riconosce assolutamente, la Transnistria, piccolo lembo di terra che esiste solo per la Russia e per tre stati separatisti: Ossezia del Sud, Abkhazia, Repubblica di Artsakh. Il nome della Transnistria, quello ufficiale, Pridnestrovie (presso il fiume Dnestr) alimenta quel vento di storie che spira spesso dall’Europa dell’Est.

Lo Sheriff Tiraspol è nato nel 1993, ma l’indipendenza della Transnistria c’è stata tre anni prima, il 2 settembre 1990, dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica. Due anni dopo scoppiò una guerra con i moldavi da una parte e i soldati di Tiraspol sostenuti dai russi. Al triplice fischio, concluse le ostilità, ecco il disegno sulla mappa: da una parte la Moldavia, dall’altro la Transnistria, in mezzo venne tracciata una specie di terra di nessuno, controllata dai militari dell’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa).

L’anno dopo si iscrive alla sceneggiatura sulla vicenda del Tiraspol anche l’Unione Sovietica: due ex agenti del KGB, Viktor Gusan e Ilja Kazmaly fondarono la società, per poi lanciare nel 2000 pure un partito (stavolta il nome è Obnovlenie, che significa rinnovamento) divenuto poi estremamente potente. Il profumo di Urss pare essere diffuso un po’ ovunque nella piccola Transnistria, perché la bandiera è quella della Repubblica Socialista Sovietica di Moldavia, falce e martello, stella bordata d’oro e una banda verde orizzontale in mezzo al rosso Urss. E così, almeno racconta chi ha ne solcato le vie, a Tiraspol si notano i palazzoni sovietici, le case delle famiglia in stile Urss e varie statue per generali, carri armati. E ovviamente il busto di Lenin.

La moneta? Rubli della transnistria, che non valgono certo come euro o dollari e per questo motivo i calciatori dello Sheriff preferiscono farsi pagare dal club con altra valuta. In squadra un’eterogenea umanità, brasiliani, sloveni, slovacchi, maliani, bosniaci, greci, peruviani. Certo, non è il primo caso in Champions, lo stesso Shakhtar Donetsk che frequenta l’Europa da ormai decenni ha sempre accolto caterve di brasiliani, sudamericani, croati. Una colonia che proverà a strappare punti al Santiago Bernabeu, a San Siro. La squadra non ha mai raggiunto la fase a eliminazione diretta di Champions, è arrivata per quattro volte alla fase a gironi di Europa League, mentre i trofei nazionali sono 19, nel 2001 arrivò il primo di dieci titoli consecutivi. Piuttosto, spiccano nella vetrinetta dei successi dello Sheriff la Coppa dei Campioni della CSI, che non esiste più da quasi dieci anni, ma che fu preso parecchio sul serio dalle principali società russe e ucraine, il meglio del calcio sovietico.

Le prime dieci edizioni sono andate infatti tra Spartak Mosca e Dinamo Kiev. Poi, la competizione cadde in prestigio, via le russe e ucraine, con doppio successo (nel 2003, nel 2009) per lo Sheriff.