Jim Shepard (Connecticut, 1956) è narratore odiato da traduttori e amatissimo da studenti, critici, editori. Nel 2016 ha pubblicato una «storia tragica e splendida» Il libro di Aron, e ora la non meno tragica raccolta di racconti Il mondo che verrà (Bompiani «Narratori stranieri», pp. 271, € 18,00), traduzione di Elena Malanga che di certo costretta ha fatto ricerche di carattere tecnico, storico, linguistico anche gergale come altri che hanno lavorato sull’opera pluripremiata di Shepard – sei romanzi e quattro raccolte di racconti.

Egli stesso compie impegnative letture prima di iniziare a scrivere, e la bibliografia delle tante fonti utilizzate ne è la prova: diari e lettere del periodo coloniale, documenti storici e giornalistici delle catastrofi moderne, il suo tema preferito; persino sulla dissezione dei corpi e su Santorini. Shepard non è mai salito sulla Texas Torre n. 4, una piattaforma di trivellazione che era l’equivalente di un edificio di trenta piani, piantata nell’Atlantico settentrionale, chiamata la Malferma o l’Hilton Pendente, dove alloggiavano settanta uomini. Né ha messo mai piede in un sottomarino in tempo di guerra o su una nave in partenza per la Groenlandia, né su un treno della Burlington North. Tantomeno era salito sulla prima mongolfiera.

Shepard scrive a ridosso di scritture che hanno probabilmente un grado zero di letterarietà ma ne ruba la naturalezza e la semplicità, la concatenazione dei fatti, il veritiero retroterra storico, l’assenza di motivi psicologici espliciti, l’abbondanza di verbi funzionali alle azioni. Scarseggiano gli aggettivi. Metafore e similitudini sono assenti, eccetto nei tre racconti in cui le protagoniste sono donne. In una intervista ha confessato di essere divenuto impaziente nel sistemare il grande affresco di una storia: «…un grande mondo da impostare e poi mettere in movimento. Ultimamente sono molto attratto da un approccio veloce ed economico: entri, racconti, esci». Questi racconti hanno un severo taglio filmico, in bianco e nero; la matrice drammatica è una catastrofe veramente accaduta – o solo presagita come nelle eccezionali storie al femminile –, raccontata da personaggi immaginari ai quali è fornita una psicologia sommaria, spesso maschile, che fanno un lavoro da maschi in luoghi affollati da maschi. Inutile aggiungere che lo stile di Shepard ha fatto i muscoli in compagnie del genere.

Lentamente l’azione precipita, o sale o corre, verso la catastrofe – è spesso verticale il destino maschile. Ci sono segnali che sono fraintesi, deboli speranze di salvezza, decisioni generose che scandiscono l’ineluttabile fine nella tomba d’acqua o d’aria. La tragedia della Texas Tower n. 4, sotto l’ironico titolo «Consigli di sicurezza per una vita in solitudine», termina con la doppia inquadratura delle mogli attaccate angosciosamente al telefono e i mariti che nel buio improvviso non riescono a vedere in alto. «E quando ci riuscirono videro stagliarsi nel cielo, come una riga, l’orlo bianco e sottile della cresta dell’onda».

L’altro racconto straordinario è «HMS Terror», il diario immaginario di un componente della disastrosa spedizione di sir John Franklin, partita nel luglio 1845 dalla Baia di Baffin, con il compito di individuare una via marittima a nord dei continenti americani, correggere le conoscenze geografiche di quelle ragioni e trovare la precisa ubicazione del polo magnetico settentrionale. Edward Little, il timido scrivente, annota la piacevole vita di bordo, certi suoi fallimenti sentimentali, il padre e la scelta del suo destino.

Ma tre anni dopo, all’inizio della primavera, ha inizio la tragedia. Il 18 giugno 1848 registra: «Nella notte sono morti altri due uomini … Procediamo fino a che tutto davanti a noi non diventa nero. Affondiamo fino al petto in laghi formati da acqua di disgelo…».

E arriva il momento del banchetto cannibalesco, descritto in tutti gli orrendi particolari della macellazione del cadavere, e dopo: «L’effetto del pasto è stato miracoloso. Siamo ringiovaniti. Riuscivamo di nuovo a saltare. Mi sono attaccato alle tirelle pervaso dalla gioia nel sentire il corpo restituito ai suoi ingranaggi e, mentre il cuoco metteva il coperchio al pentolone e lo caricava sulla slitta, ho intravisto la punta di uno sterno». Shepard è un maestro della illusione referenziale: la voce narrante sembra sia nata dall’interno della storia; non la giudica e lascia ai lettori quel compito, la rappresentazione si impone come realtà.

Più leggera e più sottilmente inventiva è la descrizione del mondo femminile, chiuso in se stesso, inattaccabile dagli uomini che si affacciano dalla periferia quasi per segnarne l’inalterabile confine. «Counseling tra quattro pareti» addensa in cerchi concentrici l’ossessione della donna protagonista con la propria febbre di maternage: riparare, proteggere, abbracciare e nutrirsi del proprio slancio verso altre figure femminili che la sfidano, la provocano e le impongono quel desiderio smisurato di amore.

Altre versioni della sorella Jennifer, la sua implacabile persecutrice che ha i connotati di tutte le sue questuanti, la sfidano. «Mi guardavano male e trascinavano i piedi. Oppure cercavano la mia mano e poi la allontanavano». Un crudele girotondo che non tollera una fine.

«Il mondo che verrà» è una delicata storia d’amore tra due donne di un mondo passato, quando ancora i coloni puritani vivevano in fattorie isolate circondate da campi gelati. Nella solitudine di queste «case immerse in lande boschive e selvagge c’è sempre qualcosa di orrendo e di innaturale … Hanno un tetto, un tetto sgangherato che ci ripara se non piove … Ma davanti alla cucina ci sono già gli anemoni e le viole…» scrive Tallie, che il marito geloso ha portato lontano dall’amata, colei che scrive il diario.

L’anonima diarista cucina focaccine dolci per colazione, cura il paziente marito Dyer con il quale non vuole avere più intimità; ha goduto delle tenerezze con l’amica, ma non vuole andare oltre. Quei baci scambiati in cucina sono l’unica ricchezza nella vita delle due donne, e la prosa si arricchisce di metafore e similitudini, registra turbamenti e sogni. Ma Tallie misteriosamente muore, e lo spirito puritano che aveva protetto l’anonima diarista, le si rivolge contro e la incolpa. Troppo tardi la sua immaginazione si apre su orizzonti ormai impossibili. «Ho immaginato di continuare a scrivere in questo diario, come se la vita fosse questa, come se la vita non fosse da un’altra parte».

L’immaginazione di Shepard è drammatica, anche se scrive solo racconti con tanto di vistosa catastrofe, sia naturale che tecnologica, che secondo Aristotele mette il lettore/spettatore di fronte a un tempo nuovo, in questo caso quello dell’«ormai troppo tardi».

Se l’idea di spazio e l’idea di tempo sono intimamente correlate, è evidente che i suoi personaggi femminili si differenziano da quelli maschili in quanto dimorano in spazi meno impervi e proclivi a una rottura verticale. Le sue donne possono aggirarsi turbate in un cerchio senza uscita o camminare per campi innevati e senza vita, ma serbano in sé la cura di una modesta, o anche molesta, fiamma del focolare.