«Sono stanca di sopravvivere, stanca, stanca, vorrei solo andare lontano». È sera a Rio, una sera maledetta, quando Bolsonaro ha vinto le elezioni diventando il presidente del Brasile. Davanti all’obiettivo di Adam Golub c’è Indianara Siqueira trans,militante, attivista politica, impegnata in battaglie per i diritti Lgbtq+ che non si è mai arresa facilmente. Sarà solo un momento? Indianara è una combattente, a Casa Nem la chiamano «la Madre», è lei che manda avanti tutto, che scrive le regole, che tiene insieme la comunità che abita quella casa occupata e la fa funzionare permettendo a ciascuno di trovare un suo spazio. Rifugio per chi non ha un posto dove stare e centro di assistenza per sex workers trans bersaglio di una crescente esclusione – «Perché – come spiegano – la transfobia c’è, è forte e ci costringe a nasconderci, dobbiamo fare attenzione persino a muoverci, dovessero vedere il mio pisello». Qualche giorno fa, J.K.Rowling, l’autrice di Harry Potter dichiarava che le trans non possono dirsi donne accendendo – giustamente – molte proteste. Indianara donna lo è, diventarlo è stata forse la sua prima grande battaglia da quando, a dodici anni, ha iniziato a prendere gli ormoni – «senza sapere bene cosa stavo facendo» – e a sedici è andata via di casa stanca delle botte della madre. «Lei diceva: ’stai sotto al mio tetto devo rispettare le mie regole così sono sparita». Poi l’incontro con una donna trans – che la prende sotto la protezione – il primo angolo dove prostituirsi.

EPPURE quella notte, dopo il risultato elettorale, la forza con cui la conoscono sembra sparita. «Lui proprio no» ripete devastata pensando al Paese che li aspetta, di lì a poco, fino al disastro da cui il Brasile è travolto oggi, con milioni di decessi per Covid-19 e Bolsonaro che continua a omettere, a negare.

Your Mother’s Comfort non è però un ritratto di Indianara (già protagonista del film di Aude Chevalier – Baumel e Marcelo Barbosa) anche se lei ne è il centro, quanto il racconto di lotte che si concentrano intorno a alcuni momenti politici e elettorali decisivi per il futuro del Paese, e per quello di Casa Nem. C’è la resistenza allo sgombero dello squat, ci sono le elezioni del sindaco di Rio, e c’è appunto la campagna presidenziale con la vittoria di Bolsonaro. Il futuro, quello che è presente, è nelle violenze che ciascuno di loro subisce ogni giorno e contro cui deve combattere sempre.

Il film di Adam Golub è tra i titoli del Doc/Fest di Sheffield, che ha deciso per l’edizione 2020 una duplice formula: online nei mesi estivi – con accessi alla piattaforma limitati alla sola Gran Bretagna perché come ha spiegato Cintia Gil, la nuova direttrice, su queste pagine «la geo-localizzazione è una forma di protezione dei film nel loro percorso internazionale futuro» specie se questi sono prime mondiali – e una seconda parte in presenza il prossimo autunno, che comprende anche alcuni titoli visibili solo sullo schermo – tutti i film della sessione autunnale saranno comunque accessibili in streaming solo dopo la presentazione in sala.
Il programma è vasto e al suo interno ci sono molte opere che si confrontano in modo diretto con la realtà. Quella prima del Covid-19, evidentemente essendo la selezione chiusa prima della pandemia – visto che il festival era previsto in giugno – nei quali però ciò che il virus ha messo a nudo con prepotenza è ben chiaro e visibile. Diseguaglianza, violenza, populismi, razzismo, sono nella politica di uno come Bolsonaro – votato nonostante dichiarasse ai microfoni dei media brasiliani frasi tipo: «L’omofobia? Qui non esiste. I gay muoiono al 90% per droga o uccisi dai loro partner … Dicono che non li rispettiamo? Sono loro a doverci portare rispetto».


UNA QUESTIONE ne dice sempre altre, da qui si arriva alla persecuzione contro gli indios e le minoranze, agli attacchi brutali militari, polizieschi o paramilitari contro i più poveri nei quartieri delle favelas: tutto riguarda l’esclusione, il razzismo – anche sociale – appunto. E questo Indianara nelle sue rivendicazioni lo ha chiaro.

 

La scelta di un attraversamento del presente, che non esclude comunque una ricerca di forme e di stili, si lega anche alla scommessa che Cintia Gil si era data – e che ha solo rimandato – prima di essere costretta cambiare rotta dalla pandemia, e cioè costruire relazioni – molti film parlano anche di colonialismo e post-coloniale – storiche e sociali col territorio, con la Storia della Gran Bretagna e con quella di una città come Sheffield,ex-capitale industriale del Regno Unito, con fabbriche e acciaierie chiuse – molte delle quali riconvertite in spazi d’arte – e un mondo working class sempre poco tutelato e conflittuale.

SONO anche le stotie di André Guiomar nel suo Our Land, Our Altar, siamo in Portogallo, nel quartiere di Aleixo, a Porto, un quartiere «a rischio», di quelli che le guide raccomandano di evitare. Ci vivono poveri, c’è molto spaccio ma il posto ha una grande bellezza, vicino c’è il fiume, potrebbe valere di più senza quei suoi scomodi abitanti. Dalle prime immagini di un compleanno, Guiomar racconta una comunità che sta per sparire visto che l’area in cui vive verrà presto demolita in un progetto appunto di gentrificazione, per essere dispersa altrove, come accade ovunque, è già accaduto, – pensiamo vicino a Roma alle manovre intorno all’Idroscalo di Ostia – privata della propria identità.Più debole, semplicemente messa fuori campo.