Adesso i kazaki alzano anche la voce. Dopo aver praticamente deciso tutte le operazioni che hanno portato all’arresto e alla deportazione di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua, ora arriva la minaccia di ritorsioni nel caso il governo italiano dovesse prendere provvedimenti nei confronti di Andrian Yelemessov, l’ambasciatore che ha di fatto coordinato tutte le operazioni dagli uffici del Viminale. Al punto che ieri il ministro degli esteri Emma Bonino, parlando al Senato, non ha esitato a definire il suo comportamento come a dir poco «intrusivo». «Attendiamo una decisione ufficiale, se mai dovesse esserci, e quindi reagiremo», ha detto da Bruxelles il vice primo ministro Yerbol Orynbayev riferendosi alla possibile espulsione del diplomatico. Ma ha anche definito «pareri personali» le parole con cui nei giorni scorsi Bonino ha definito ormai inutile la presenza del diplomatico kazako a Roma,
Ogni giorno che passa, intanto, il giallo kazako anziché chiarirsi si complica sempre più. Con interventi che sembrano più dettati dalla necessità di giustificare il comportamento avuto fino a oggi dal Viminale che dalla volontà di fare chiarezza. Un esempio è il presunto giallo sui passaporti posseduti dalla signora Shalabayeva. Ieri il ministro della giustizia centrafricano, in un’intervista al Fatto, ha garantito l’autenticità del documento rilasciato dal suo Paese. Cosa del resto risaputa, visto che la stessa cosa l’aveva affermata, il 31 maggio scorso, l’ambasciatore in Svizzera, Leopold Ismael Samba. Poche ore, e il Dipartimento di polizia rende nota un’informativa dell’Interpol del Centrafrica secondo la quale il passaporto centrafricano esibito dalla signora Shalabayeva il 29 maggio scorso, quando la polizia entrò nella villa di Casal Palocco dove viveva con la figlia e i domestici, sarebbe falso. «Nei due passaporti intestati alla donna – si spiega – uno rilasciato dal Kazakistan e l’altro dalla repubblica Centrafricana risultano due luoghi di nascita differenti e in più, quello indicato nel passaporto della repubblica Centrafricana risulta addirittura inesistente». Un’incongruenza subito chiarita dall’avvocato Riccardo Olivi, che assiste la donna. «I luoghi di nascita sono gli stessi – spiega il legale -: in un passaporto viene menzionato il villaggio (Jezdi o Zhezdi), nell’altro la regione (Karagandinskaya). In questa storia la fretta e la mancata ricerca di informazioni facilmente reperibili ha già prodotto troppi problemi. La nostra preoccupazione – ha concluso il legale – deve essere la sicurezza di Alma e di sua figlia, deportate illegalmente dall’Italia senza alcuna ragione».
Ma ieri è stato soprattutto il giorno di Emma Bonino. Davanti ai senatori delle commissioni Esteri e Diritti umani, il ministro degli Esteri ha voluto rispondere alle accuse di immobilismo rivolte alla Farnesina. «La mia credibilità personale per me è un grandissimi patrimonio», ha detto. Per poi spiegare di aver appreso della deportazione di Alma Shalabayeva e della piccola Alua solo la sera del 31 maggio, quando madre e figlia si trovavano ormai già in volo per Astana e grazie alla telefonata di una Ong che l’avvertiva dell’accaduto. Il giorno dopo, 1 giugno, la conferma le arriva attraverso una mail inviatale dai legali della Shalabayeva. «Da quel momento – spiega Bonino – è iniziata un’azione incessante per assicurare la tutela dei diritti della signora Shalabayeva e di sua figlia». Ma anche per ottenere informazioni dal governo. Inutilmente, a quanto pare di capire, perché le richieste del ministro, ce secondo il suo racconto di rivolge il 2 giugno ad Alfano poi, attraverso il capo di gabinetto della Farnesina, il 3 giugno al capo della polizia Alessandro Pansa restano senza riposta. «Tutta una serie di dettagli di quei giorni, dal 28 al 31 maggio, li ho saputi dalla relazione Pansa», si giustifica il ministro. Che però non spiega perché, sapendo ormai chi erano le persone deportate in Kazakistan, tanto da preoccuparsi che non venissero maltrattate, non ha preteso risposte più precise dal ministro degli Interni.