Nasce come saggio di diploma conclusivo degli allievi dell’Accademia Silvio D’Amico, ma è già uno spettacolo importante quello che Lorenzo Salveti ha preparato con i suoi giovani attori. Il testo, raramente rappresentato, è un superclassico di Shakespeare, Pericle principe di Tiro (ancora stasera e domani alle 20 al Teatrino di via Vittoria, prenotazione obbligatoria al 366 6815543, e poi al festival di Spoleto, l’1 e il 2 luglio), che il regista però ha snellito e reso fluente e incalzante, mettendone in primo piano gli snodi drammaturgici che più direttamente ci parlano oggi.

La vicenda è una favola antica, quella di un nobile pretendente alla mano di una principesca creatura femminile tenuta però in ostaggio, sesso compreso, da un padre perverso. Che infatti quando il principe ne svela l’inganno, ne decreta la caccia spietata per ucciderlo. Da lì cominciano le disavventure di Pericle, sovrumane e favolose, ma accuratamente predisposte a svelare tutti gli artifici e le volute della narrazione classica. L’arte del racconto, spinta a farsi più reale del vero, tra visioni e misteri e paure, è la vera protagonista di questa storia. Che infatti ci viene offerta da due deliziose narratrici, che ci guidano presso corti spietate e mari in tempesta, in città che appaiono come miraggi e su navi destinate a naufragare tra i flutti, tra duelli di armi che si rivelano meno cruenti di quelli verbali, mentre scorrono i luoghi e gli anni, le promesse e i ricordi.

Tutto, in questo colto giro di città romanizzate in Grecia e in Asia minore, andrà naturalmente a buon fine, primo tra tutti l’appagamento di chi ascolta e di chi recita, rincorrendosi sulla scena dell’intero teatrino, davanti e intorno agli spettatori. È il trionfo del narrare, e della sua arte, invocata e professata dallo stesso Shakespeare, e ben sottolineata dalla riduzione di Salveti, ma che trova un suggello «divino» insindacabile nella dichiarazione della stessa divina Diana nel suo tempio a Efeso. Con la collaborazione di suggestioni e strumenti preziosi la scenografia di Bruno Buonincontri e i bei costumi, funzionali e a momenti davvero «magici», di Santuzza Calì.

Tutti i 24 neoattori trovano modo di mettersi in luce, a cominciare dal buffone di corte che comunica senza profferire parola. E dimostrano tutti di essere già maturi per la scena questi ragazzi, ed è una soddisfazione non piccola sperare che con la stessa densità del debutto possano darci tra breve un teatro più vivo.