La prossima edizione Cinéma du Réel, il festival parigino del documentario festeggerà i primi quarant’anni, anniversario che coincide anche con una nuova direzione di cui ancora non si sa nulla – a parte il carosello di nomi che come sempre si scatena in questi casi. . Intanto l’edizione 2017, l’ultima di Maria Bonsanti, è stata scompigliata dagli scioperi al Centre Pompidou che hanno obbligato l’equipe del festival – bravissimi – a compiere incredibili acrobazie per riprogrammare intere giornate al Forum des Images, dentro Les Halles che sotto la Canopée del progetto di Patrick Berger e Jacques Anziutti somiglia a un enorme astronave aliena planata nel centro di Parigi. L’inconveniente ha messo in luce un dato molto importante: ossia che il festival per assumere una fisionomia indipendente ha bisogno di una sede che ne identifichi la presenza e le attività, ipotesi a cui la Bpi, la Bibliothèque Publique, principale referente del festival, sembra fermamente contraria.

Hamlet in Palestine, il nuovo film di Nicolas Klotz, realizzato insieme a Thomas Ostermeier (concorso francese) è anche una sintesi di quanto il festival ha messo in campo quest’anno, la ricerca cioè di un’immagine capace di ridefinire l’idea del «cinema politico» (e forse di cinema del reale in modo più ampio) passando per cineasti come Andrea Tonacci, a cui è dedicata la retrospettiva, o attraverso il racconto americano dei registi african american alla fine degli anni Sessanta come Charles Burnett o Haile Gerima, al centro della sezione «Ribelli a Los Angeles».

«Per chi parla Amleto quando è da solo?» chiede Ostermeier ai giovani attori palestinesi durante il suo workshop. Silenzio, esitazione. «Parla al pubblico» – ma è troppo ovvio commenta uno di loro. Il regista tedesco è a Ramallah per mettere in scena l’opera di Shakespeare, anche se l’esigenza di questo viaggio rimanda a qualcos’altro. L’anno prima, il 2011, a Jenin un uomo mascherato ha ucciso Juliano Mer-Khamis, attore (lo ricordiamo in Kippur di Amos Gitai), regista di teatro, infaticabile animatore del Freedom Theatre a Jenin nel quale cercava attraverso l’arte di aprire ai giovani palestinesi chiusi nel campo e traumatizzati dalla violenza dell’occupazione israeliana un orizzonte oltre le sbarre. Juliano aveva «ereditato» da sua madre, Arna Mehr, israeliana, attivista, comunista antisionista questa passione, anche lei aveva organizzato il teatro a Jenin finché non lo avevano distrutto. A rimetterlo insieme lo aveva aiutato un vecchio amico,ex capo delle brigate Al Aqsa che dopo l’assassinio di Juliano è stato arrestato dall’Autorità palestinese.

Chi ha ucciso dunque Juliano, davanti al suo teatro, in pieno giorno, con una maschera in volto, mentre aveva tra le braccia il suo figlioletto? Ostermeier inizia la sua investigazione. La prima risposta è Hamas, la presenza di Juliano, il suo lavoro, la sua libertà davano fastiio, lui rifiutava la radicalizzazione islamica, la censura, segregare uomini e donne che invece lavoravano insieme sul palcoscenico. Poi però l’indiziato principale è diventato il governo israeliano, la presenza di Juliano permetteva di dare all’esterno un’altra immagine di Jenin e della resistenza trovando in questo anche l’appoggio silenzioso dell’Autorità palestinese. Fino a dire, come il giornalista israeliano, che invece si è trattato di una questione privata, il gesto di vendetta di un padre, di un fratello per la relazione che Juliano avrebbe avuto con una ragazza palestinese – perché mascherarsi allora? O che invece volevano colpirlo per la sua vita privata, la mogli straniera, norvegese, anche lei attivista per i diritti umani.

Il dubbio, la menzogna, il suo smascheramento che guidano i tormenti e l’agire del principe di Danimarca sembrano sovrapporsi alla realtà: ciascuno ha una sua versione, ciascuno in ciò che dice lascia sottilmente trapelare un sottotesto, qualcosa che rimane sospeso, non detto e che pure è là.
Non è un film sul conflitto israelo-palestinese Hamlet in Palestine, ma nella sua dimensione «privata» – l’affetto di un artista verso un altro, la condivisione di una visione dell’arte – riesce a racchiuderne l’intera Storia. La sua violenza e la disperazione che ha devastato i palestinesi attraverso generazioni: dei ragazzini che frequentavano il teatro della madre di Juliano non ne è rimasto uno in vita, tutti morti da martiri. Klotz accompagna Ostermeier nei suoi incontri, nei dialoghi e nelle strade di cui non riconosciamo la fisionomia come si è vista tante volte sullo schermo. In questa ricerca il film pone le sue domande alla realtà: alla sua natura ambigua, di verità impossibile che nessuna semplificazione riesce a rendere. E nei bordi delle sue immagini permette a noi pubblico una diversa consapevolezza.