Condom a mo’ di palloncino offerti a dei poliziotti egiziani nella Giornata della Polizia, il 25 gennaio, stesso anniversario della rivoluzione di piazza Tahrir.

Era il 2016 e quella presa in giro, registrata su video, è stata l’inizio della persecuzione per un giovane blogger egiziano, Shadi Abu Zaid. Un comico con un suo show su YouTube, The Rich Content, al bando da allora, e volto di un programma tv satirico, Abla Fahita.

Il 21 novembre è stato condannato a sei mesi con l’accusa di insulti al governo, il giorno dopo è stato condotto nel carcere di Tora (lo stesso di Patrick Zaki e migliaia di prigionieri politici).

Peccato fosse stato rilasciato appena 20 giorni prima, dopo due anni e mezzo di detenzione preventiva senza un processo: era stato arrestato la prima volta nel maggio 2018 per appartenenza a gruppo terroristico e diffusione di notizie false, i due reati più comuni di cui Il Cairo accusa chiunque critichi il regime.

Ma quei due anni dietro le sbarre, a quanto pare, non vanno conteggiati. Lo ha reso noto la sorella Roula con un post su Facebook: Shadi è di nuovo in galera. «Sta bene, grazie a dio, fisicamente e mentalmente – ha scritto Roula – Non scrivo (del suo arresto) per farvi preoccupare ma per tutti quelli che hanno notato la sua assenza e cercano di contattarlo».

«Le autorità egiziane devono rilasciare subito e senza condizioni Abu Zaid e assicurare che i giornalisti possano lavorare liberamente», commenta Sherif Mansour, coordinatore di Cpj (Committee to Protect Journalists) per Medio Oriente e Nord Africa.

Secondo quanto spiegato a Cpj dal suo avvocato, Nasser Amin, il caso del video è apparso all’orizzonte del blogger mentre Shadi era già in carcere, impedendo la sua partecipazione a buona parte delle udienze.

E mentre il regime egiziano continua la violazione sistematica dei diritti umani, sabato scorso il suo Senato ha reagito all’approvazione della risoluzione dell’Europarlamento che chiede sanzioni ai responsabili degli abusi e stop alla vendita di armi, citando tra gli altri i casi di Zaki e Giulio Regeni (che veniva sequestrato proprio il giorno in cui Abu Zaid affrontava con il sorriso la paranoia poliziesca del Cairo).

I senatori accusano il parlamento Ue di essersi basato su «fonti diaboliche» e di usare i diritti umani come scusa per interferire negli affari interni, per poi rivendicare la presunta indipendenza della magistratura. Le condanne, insomma, non sono imputabili al governo.