Quale sarà la reazione della Russia di Putin allo sguardo del regista Sergei Loznitsa sulla rivoluzione ucraina, che ha portato al distacco dell’ex stato satellite dell’Unione Sovietica dall’orbita russa? L’11 dicembre al Festival del cinema di Mosca verrà proiettato Maidan, il documentario dell’autore bielorusso che testimonia i mesi in cui si è svolto braccio di ferro tra centinaia di migliaia di ucraini ed il governo filorusso del presidente Viktor Yanukovych, e che prende il nome dalla piazza di Kiev diventata simbolo della contestazione: «la gente si è recata a Maidan per cambiare il proprio destino»,sostiene Sergei Loznitsa, che all’inizio delle manifestazioni raggiunge l’epicentro della protesta per registrare ciò che stava accadendo. «Gli ucraini non ne potevano più di un regime malvagio e corrotto controllato da Mosca», spiega il filmmaker bielorusso, che con il suo documentario, già presentato a Cannes, ha vinto nei giorni scorsi il Festival dei Popoli a Firenze, dove la giuria ha decretato che «con opportuna tempestività in questo momento storico, con calma e maestria il regista si impegna a seguire la rivolta di un popolo contro un sistema in crisi». ù

L’occupazione di piazza Maidan ha inizio poco più di un anno fa, la notte del 21 novembre 2013, in seguito al fallimento delle trattative per cominciare il processo di integrazione economica dell’Ucraina nell’Unione Europea, e si conclude nel febbraio dell’anno successivo con la fuga di Yanukovych. Ciò che è venuto dopo l’arrivo al potere di un governo filoeuropeo ed in linea con le richieste della piazza è oggi noto come la nuova Crisi di Crimea, rispetto a cui Loznitsa non ha dubbi: «Ciò che sta accadendo, sia in Crimea che in Ucraina dell’Est, è un’aggressione da parte del vicino orientale, la Russia, e l’Occidente non ha fatto abbastanza per contrastare questa aggressione. Ad ogni modo sono convinto che il futuro dell’Ucraina sia in Europa, e che ci sia la speranza di una rottura con il passato coloniale e sovietico».

In Maidan Loznitsa realizza una cronaca di ciò che accade nei mesi dell’occupazione, dall’inizio pacifico della protesta agli scontri con la polizia che cerca di sgomberare la piazza e poi di disperdere i manifestanti di fronte al parlamento. Per farlo, decide di utilizzare lunghi piani sequenza da angolazioni fisse, spesso a margine degli eventi, dell’azione, e senza nessun genere di commento: «nei miei film non c’è mai un commento – che sia la voce fuori campo, la musica, o le notizie date in tv – non lo considero necessario. Il mio stile di regia in Maidan è stato determinato dalla scelta del protagonista: il popolo ucraino, le masse. È questo il motivo dei lunghi piani sequenza: mi hanno consentito di creare dei quadri in cui si muovono un gran numero di persone». In questo modo Loznitsa posiziona il suo sguardo nel cuore del movimento della piazza ed al contempo a distanza da esso: mentre sul palco si parla di politica spesso preferisce osservare l’affaccendarsi delle persone che lavorano alla mensa o la nascita spontanea di una canzone intorno ad un musicista e la sua chitarra.

Nel momento in cui a Maidan le persone iniziano a reclamare dei diritti, secondo Loznitsa riscoprono anche il senso della propria appartenenza nazionale: «La rivoluzione di Maidan ha portato con se anche un revival dello spirito nazionale, del folklore e dell’arte popolare», un aspetto che affascina particolarmente il regista, che molto spesso si concentra sul linguaggio specifico della rivoluzione, al contempo epico e religioso, che parla di opposizione di bene e male e celebra gli eroi della nazione. «Ero stupefatto dalla quantità di canzoni, recite di poesie e mostre d’arte che in piazza andavano avanti per quasi 24 ore al giorno. È come se anche lo spirito creativo del popolo ucraino fosse stato liberato dalla rivoluzione, così come l’umorismo». Lo sguardo che testimonia gli eventi si fa più centrato con il progressivo montare della violenza: l’arrivo dei poliziotti in tenuta antisommossa; le voci fuoricampo, provenienti dagli altoparlanti, che chiedono l’intervento di un medico o comunicano quale lato della piazza è sotto attacco; gli scontri con la polizia, in cui la folla avanza e retrocede come delle onde viste da lontano; i funerali dei martiri della rivoluzione.

Se gli scontri della fase finale della rivolta hanno causato la morte di oltre 70 persone tra manifestanti e poliziotti, al suo principio il movimento confluito nella piazza di Kiev era fondato su un genere di contestazione del potere molto diverso e antico: «le prime settimane di Maidan sembravano un carnevale medievale piuttosto che una campagna politica – spiega infatti il regista – gli attivisti scrivevano poemi satirici su Yanukovych e la sua banda. C’è anche Bella Ciao diventata virale nella vesione ucraina Vitya, ciao, dato che Vitya è il diminutivo di Viktor». «E anche la religione – continua Loznitsa – ha avuto un ruolo importante. I rappresentanti di tutti i credi cristiani, ad eccezione del ramo della chiesa ortodossa controllato da Mosca, così come i musulmani, gli ebrei ed i membri di tutte le altre comunità religiose, erano attivi a Maidan. I servizi religiosi si tenevano regolarmente e la chiesa è stata con la gente durante i momenti più tragici e pericolosi della rivoluzione a gennaio e febbraio».

È difficile prevedere quali saranno le reazioni degli spettatori russi alla cronaca di un evento di cui i giornali locali hanno dato versioni diametralmente opposte rispetto a quelle circolate in Europa, negli Stati uniti e nell’Ucraina stessa, e che ha riportato in voga l’antica espressione Guerra Fredda. Ma qualunque sia la risposta del pubblico moscovita e della Russia tutta, nessuno potrà negare a Maidan il suo valore di testimonianza di un evento epocale, le cui ripercussioni, ancora lungi dal poter essere definite con certezza, hanno una portata mondiale.