Australia-Nuova Zelanda. E’ questa la finale, inedita, dell’ottava edizione della William Webb Ellis Cup, la coppa del mondo di rugby. Entrambe hanno già vinto due volte il titolo. L’appuntamento è per sabato prossimo al Twickenham, ore 17. Venerdì sera, all’Olympic Park, si giocherà la finalina per il terzo posto tra Argentina e Sudafrica.

L’Argentina non ce l’ha fatta. I Pumas avevano però di fronte una squadra più forte e meglio organizzata, più esperta e smaliziata, usa a giocare partite di questa importanza e a vincerle. Il risultato finale è di 29-15 per l’Australia, con quattro mete a zero, ma il match è stato ben più equilibrato di quanto suggerisca il punteggio.

La brutta partita dei quarti contro la Scozia, battuta per il rotto della cuffia (e con molte critiche all’arbitraggio del sudafricano Craig Joubert) non aveva sconvolto più di tanto la quiete nel campo australiano. Il ritorno tra i titolari del preziosissimo, indispensabile David Pocock, portentoso ladro di palloni nei raggruppamenti, è stato fondamentale.

Il primo tempo è stato tremendo per i Pumas, che dopo un minuto erano già sotto di una meta, perché Sanchez forzava un passaggio che veniva intercettato dal seconda linea Rob Simmons: meta in mezzo ai pali. E al 9’ arrivava un’altra meta, questa volta con Adam Ashley Cooper, smarcato da un passaggio al largo di Foley (14-3).

Giocavano a gran ritmo, i Wallabies, con palloni che uscivano veloci dai punti di incontro e con le terze linee che non perdonavano alcun ritardo argentino nelle ruck. Gli argentini si aggrappavano alla loro mischia chiusa, dominante; gli australiani alla loro perfetta organizzazione difensiva, e sui palloni contesi il trio Pocock-Hooper-Fardy era micidiale.

Ancora Ashley Cooper, e di nuovo con un assist a saltare i centri, andava a schiacciare in meta al 31’, ed era 19-6. Solo i calci piazzati di Nicolas Sanchez tenevano gli argentini aggrappati alla partita e alle loro speranze. Ma nel frattempo i Pumas avevano perso prima l’ala Imhoff, uscito malconcio da un placcaggio, poi il capitano Creevy. A peggiorare le cose un cartellino giallo per il seconda linea Lavanini. Con un uomo in meno i Pumas reggevano comunque l’onda d’urto avversaria e chiudevano con un parziale di 3-5.  Si andava al riposo sul punteggio di 19-9 per i Wallabies.

La ripresa del gioco vedeva l’Argentina alzare il suo ritmo di gioco. Due penalty di Sanchez contro uno di Foley riducevano il distacco a 22-15. Era il momento migliore dei Pumas, finalmente presenti nelle ruck e capaci di sviluppare belle azioni alla mano con i trequarti. Erano attacchi a ripetizione, ma la difesa australiana era soffocante: una muraglia invalicabile. Tutto si svolgeva al limite del possibile, e gli errori erano inevitabili. Era l’ala Drew Mitchell, a dieci minuti dalla fine, a indovinare uno slalom tra i giocatori argentini e a porgere ad Ashley Cooper la palla per la sua terza meta personale. La segnatura spegneva ogni speranza di Pumas e tagliava loro le gambe. Con il punteggio di 29-15 nessun miracolo era più possibile.

Nulla può essere rimproverato agli argentini, che venerdì avranno comunque la possibilità di giocarsi il terzo posto e di ripetere l’impresa del 2007. In pochi anni il loro rugby è progredito a livelli impensabili; e l’ingresso nell’International Championship, il “4 Nazioni” dell’emisfero Sud, ne ha innalzato tutti gli standard.

Dalla prossima stagione una franchigia argentina, Los Jaguares, sarà inoltre presente nel torneo del Super Rugby.

Ogni confronto con quanto è avvenuto con l’ingresso dell’Italia nel Sei Nazioni, sedici anni fa, è semplicemente impietoso. Il rugby latino oggi parla con l’accento del Rio de la Plata.