«Tenete alte le bandiere del Regno delle due Sicilie, facciamo vedere che stiamo qua». L’idea di patria dei neoborbonici sventola nello spicchio sud di piazza dell’Esquilino, quartiere cinese della capitale: le diverse anime sovraniste prendono posizione prima della partenza del corteo. C’è molto spazio. I ragazzotti del trifoglio, accompagnati da musica celtica, si tengono sulla destra stretti nello sguardo del capo Alfredo Iorio: sulle loro felpe la parola patria è anagrammata in Prati, il quartierone borghese dove difendono la sede missina di via Ottaviano. Questa destra che vuole l’Europa «delle nazioni, dei confini e delle sovranità» è la piccola patria di Gianni Alemanno e Francesco Storace, tornati insieme dopo aver perso la battaglia per l’eredità di An con l’idea di costruire un polo sovranista da alleare al resto del centrodestra berlusconiano. Lanciano ami a Salvini e Meloni, ma invano. Lui va a Lampedusa, lei non rischia la piazza e si chiude in un teatro, con Tremonti.

«Siamo 10mila», spara il terzo uomo della banda, Roberto Menia. La stima andrebbe divisa per cinque. Cuore nero del nordest, Menia è stato con Fini e con Monti, poi è tornato con l’Europa dei popoli e contro i burocrati. Con lui in testa al corteo si riconosce Peppe Scopelliti, disastroso sindaco di Reggio Calabria, inseguito dalle condanne e per questo costretto a lasciare anzitempo la presidenza della regione Calabria. Il gruppo, che ha in odio l’egemonia tedesca sul continente, riceve la visita di cortesia di un rappresentante di AfD, l’ultradestra germanica, di nome Martine Rotweiler.
Un po’ in disparte, a chiudere il corteo subito prima dell’Ama e dell’Arma dei carabinieri, si presentano una cinquantina di rappresentanti di Forza Nuova, rivestiti dalla sigla «Roma ai romani». Hanno parole d’ordine più schiette – «Fuck Ue» – e musica più alta – «marciare per non marcire/marciare per non morire» -; quando la sfilata si conclude arrotolano le loro bandiere e si tengono al margine.
Storace e Alemanno – nei momenti di sconforto fa bene ricordare che sono stati primo cittadino e governatore – hanno stili diversi in piazza. Alemanno tiene lo striscione di testa in favore di telecamere, e se si allontana fende la folla indisturbato. Storace preferisce le retrovie e non riesce a fare un passo senza che qualcuno lo abbracci. Nel breve comizio a bordo camion, Alemanno dice di volere indietro «il confine della nostra patria e le chiavi di casa nostra» – «il mondo grande e vario delle nazioni in cui potevamo sentirci a casa», avrebbe detto Victor Orbán. «Usa, Isis, islam radicale, non conquisterete Roma capitale», risponde intanto la piazza, sottovalutando che la città è sopravvissuta ad Alemanno.

Il corteo ha anche altre richieste. Ci sono i tassisti contro Uber, perché «Uber uguale Ue» (ma la scritta Uber compare orgogliosa su qualche maglietta, immaginiamo alla tedesca). Ci sono gli «avvocati per il ritorno ai minimi tariffari», i «pescatori contro l’Europa» e gli ambulanti contro la direttiva Bolkestein. O almeno, ci sono i loro striscioni. I comizi di Forza Nuova arrivano dal retro e a tratti coprono le canzonette degli 883, colonna sonora del camion di testa. «No all’Europa del gender e delle adozioni gay», «quello che un tempo era il mare nostro oggi è pieno di clandestini», «le barche pagate da Soros raccolgono i finti profughi e li portano sulle nostre coste per sostituire il popolo italiano».
Spaventati per tempo, i negozi di chiara identità italiana sono tutti chiusi. Lungo il (breve) corteo sono aperti solo i minimarket bangladesi e una pizzeria gestita da una famiglia cinese dove una sventurata coppia spagnola ha ordinato lasagne e vino frizzante. I difensori dell’identità di patria lasciano fuori gli slogan e chiedono per cortesia di usare il bagno.