Se gli anniversari hanno un senso, il sessantesimo anno dalla scomparsa di Charlie Parker (12 marzo 1955) è ben omaggiato dall’uscita, in Italia, di Fulmini a Kansas City. L’ascesa di Charlie Parker (minimum fax, pp.411, euro 17) del settantenne critico culturale e romanziere afroamericano Stanley Crouch.

«Più di tre decenni sono trascorsi da quando ho cominciato a mettere mano a questo libro, che da allora si è avvalso dei materiali forniti dalle più svariate persone, nell’ambiente artistico e al di fuori, che si sono adoperate per aiutarmi o per chiarire questioni di cui erano a conoscenza, o pensavano di esserlo, riguardanti Charlie Parker e il suo mondo» (p.385). Il libro è, in realtà, appassionante e coinvolgente perché elabora in modo davvero originale un’enorme quantità di materiali inediti; è, in un certo senso, una storia orale collettiva che ha come epicentro la figura del giovane artista di Kansas City, nei suoi anni formativi, visto attraverso gli occhi dei compagni di strada, musicisti e non come precisato da Crouch.

Attraverso Parker prende forma e si delinea un periodo storico-sonoro densissimo di cambiamenti (il mondo delle big-band e del lindy hop, la transizione tra swing e bop, le trasformazioni della società americana che entra nella IIa guerra mondiale…) visti attraverso le persone ed i luoghi (Kansas City, Harlem…) in un vivido affresco «sonoro». La chiave vincente di Fulmini a Kansas City è quella di non aver perpetuato il mito del «genio e sregolatezza» ma di aver incardinato la figura parkeriana (nella sua effettiva genialità) all’interno di un flusso più ampio di avvenimenti, che lo videro protagonista.

Quindi su una base documentaria enorme (raccolta dal 1981 attraverso interviste) Stanley Crouch non genera un libro di storia ma un possente meccanismo narrativo, dato che il suo si potrebbe definire un «romanzo storico»; lo stile del critico-romanziere è potente ed evocativo, interno ai linguaggi della comunità afroamericana del passato che mostra di conoscere il tutte le sue sfumature ed è ben tradotto da Marco Bertoli.

Articolato in dodici capitoli, corredato di indice di nomi e fonti, il libro si snoda attraverso quattro parti ed un epilogo: «Nato nel maledetto Kansas», «Infinita plasticità» dove si parla più in generale della vicenda del jazz; «A scuola di blues e swing»; «Mi dispiace ma non posso prenderti». Impossibile, sul serio, citare i passi più interessanti ma la «battle» al Savoy Ballroom harlemita tra l’orchestra dei Savoy Sultans di Lucky Millinder e la big-band guidata da Jay «Hootie» McShann con Charlie Parker solista è davvero epica.

luigi.onori@alice.it