«Contorto, antisociale, anarchico, scontento», è l’artista secondo Robert Zemeckis; ed è quello che grida il suo migliore amico a Philippe Petit in The Walk, l’ultimo, magnifico, film del regista chicagoano/hollywoodiano, che ha inaugurato ieri sera il New York Film Festival.

In preparazione da dieci anni (è stato ispirato dal libro illustrato per bambini The Man That Walked Between the Towers, di Mordicai Gerstein) The Walk è la ricostruzione dell’impensabile camminata che il funambolo francese effettuò nel 1974, su un filo d’acciaio sospeso a circa mezzo chilometro da terra, tra le Torri gemelle del World Trade Center. «Non sapevo nulla dell’impresa di Petit – quando è successa era il periodo in cui studiavo cinema alla University of Southern California e stranamente non ne avevo sentito parlare», ci dice Zemeckis che abbiamo incontrato in un albergo di New York. «L’ho scoperta grazie a quel librettino di otto pagine. E mi è sembrata subito la premessa di un film molto eccitante, che non avrebbe potuto esser realizzato se non in 3D».                         

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Sublime sfoggio di amore e conoscenza per la magia del cinema in tre dimensioni, di cui Zemeckis, a partire da Polar Express è stato uno degli sperimentatori più arditi, The Walk è anche un film d’avventura nel senso più tradizionale, romanzesco, del genere, uno dei testi più scoperti, teorici, della poetica zemeckisiana e un manifesto sul dovere/potere sovversivo dell’arte, sulla sua individualità, prodotto da una multinazionale (la Sony) che fabbrica televisori ed entertainment di massa. In altre parole, il meglio di quello che il cinema americano da studio può fare oggi.

Come quasi tutti i film di Zemeckis anche The Walk è la storia di un’ossessione. E, per proiettarci ancora di più «dentro» al pensiero fisso del suo protagonista, il regista affida il racconto direttamente a Petit (che ha conosciuto dieci anni fa e con cui ha collaborato a lungo e molto intensamente da allora).

Lo incontriamo, interpretato da Joseph Gordon-Levitt con un pesante accento francese, in cima alla Statua della Libertà (progettata dal compatriota Frederic Auguste Bartholdi). Sullo sfondo dietro di lui, è la punta meridionale di Manhattan, la luce rosa/dorata che rende sfavillanti i due parallelepipedi delle Twin Towers.

Da lì si torna indietro, in Francia e, per un po’, in bianco e nero. In una serie di vignette vediamo Philippe più giovane, che si guadagna da vivere facendo il giocoliere per le strade. Lo seguiamo ai primi passi –letteralmente parlando- sul filo, assistito dai burberi insegnamenti di una leggenda del circo, Papa Rudi Omankowsky (Ben Kingsley) e da Annie (Charlotte Le Bon), una street artist come lui. Insieme a una folla di parigini ammaliati, lo vediamo camminare sul filo tra le torri di Notre Dame, un’impennata di performance art che gli giovò la prima gita in carcere. Ma, già allora, stava progettando, insieme a un gruppetto di amici, il capolavoro della sua carriera, la passeggiata in mezzo alle nuvole tra due dei grattacieli più alti del mondo.

The Walk ingrana la marcia dell’avventura quando l’azione si sposta a New York meravigliosamente ricostruita in digitale, e nello spirito, dal regista, che aveva ambientato nella Grande Mela anche il suo primo film, I Want To Hold Your Hand. E’ l’inizio degli anni Settanta, il Vietnam e le grandi contestazioni sono ancora nell’aria. Il Watergate sulle prima pagine dei giornali. La costruzione delle Torri Gemelle quasi conclusa. La città e le persone sono ruvide e accoglienti.

Zemeckis tratteggia i preparativi segreti della camminata di Petit, che si intrufola nei cantieri del World Trade Center, con la suspense che conduce a un’elaborata rapina (non a caso la chiamano «il colpo»). E con grandi momenti hitchcockiani (echi di Saboteur e la sua sequenza in cima alla Statua della libertà) in cui anche le musiche di Alan Silvestri ricordano quelle di Bernard Herrmann.

«Fin dall’inizio, nelle nostre conversazioni, Philippe ha sempre parlato delle due torri come se fossero state partner, complici, della sua avventura. Come se degli esseri viventi, che respiravano», ci dice Zemeckis, che per ricostruire le Twin Towers, ha avuto accesso ai disegni e alle piante originali degli edifici. «Dopo tutto – continua il regista – la sua performance non sarebbe esistita senza le Torri. Quindi per me è stato naturale presentarle come personaggi del film. Abbiamo passato molto tempo studiarle, osservato montagne di fotografie, parlato con gente che ci aveva lavorato».
La meraviglia dello sguardo con cui seguiamo questi ragazzi nella loro missione impossibile, negli spazi cavernosi dei grattacieli, tra muratori, guardie e personaggi che hanno l’aura di fantasmi, è quella di un bambino.                                                                                                                             

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La purezza, la poesia, l’arroganza e la grandiosa inutilità del gesto di Petit affascinano Zemeckis. E, nell’era dei selfies e di YouTube, l’idea di un’impresa simile pensata fine a se stessa, e non per essere vista da milioni di persone (della camminata, effettuata in gran segreto alle sei di mattina del sette agosto, rimane solo qualche fotografia, ma non esiste girato), sembra rivoluzionaria. Oltre che bella da piangere. E nel vuoto che si apre sotto ai piedi di Joseph Gordon-Levitt si specchia quello lasciato dai grattacieli, dopo l’11 settembre.

Petit (a cui anni fa è stato dedicato il documentario Man on the Wire) rimase sospeso sul filo d’acciaio 45 minuti. E l’ultima ora di The Walk è cinema che toglie il respiro – per bellezza, colpi di scena e perché fa venire le vertigini. L’estasi, la sfacciataggine, l’irriconducibilità’, la rabbia interiore di quell’uomo in bilico tra le nuvole, diventano, per un attimo, un’ispirazione comune.

Dietro alle spoglie del funambolo francese si nasconde infatti uno dei classici (anti)eroi zemeckisiani – viaggiatori del tempo, naufraghi, astronauti, piloti, idiot savants…..tutti artisti di qualità altissima, accomunati da un sogno difficile, dalla vocazione alla solitudine e da un doloroso disconnect con il mondo che li circonda. Quando ho chiesto a Zemeckis se l’anarchia, l’antisocialità, lo scontento… del suo Petit sono, infatti, la condizione esistenziale dell’artista, e di lui come filmmaker, si è messo a ridere: «Questo è effettivamente un film sull’arte, e quella parole le ho scritte io… Però non sono sicuro. Posso dire che gli artisti guardano il mondo da una prospettiva diversa. Forse io lo vedo attraverso una lente obliqua, che distorce l’immagine. Non azzarderei di più…. Ma, in quanto artisti, il nostro dovere è quello di semplificare. Prendere delle idee complesse, difficili da definire, e cercare di esprimerle attraverso delle emozioni che possono essere descritte più facilmente. E, in questo senso, il film funziona perché tutti possono identificarsi con quella parte di Philippe che ha bisogno di dar corpo alla sua espressione creativa. Il suo è un sogno fuori misura. Ma anche chi cuoce una torta, canta in un coro o scrive un articolo di giornale può capisce l’urgenza di quel bisogno di esprimersi».

The Walk sarà presentato in anteprima italiana alla Festa del cinema di Roma e distribuito in Italia dalla Warner Bros, il 22 ottobre prossimo.