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Sex: Sprache

Moscow Mule Berlinesi chiacchierano di sesso, un documentario di Saskia Walker e Ralf Hechelmann

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 26 settembre 2015

Non ci siamo ancora stufati dei dibattiti sul sesso? Cosa c`é da aggiungere in una società completamente scosciata? Oppure, proprio perchè siamo tutti nudi in cerca di un autore e di una coperta si cercano ancora risposte e conferme.

Il documentario di Saskia Walker e Ralf Hechelmann “Sex: Sprache” è l´ennesimo giro di valzer, gradevole, sulla questione. Una libera chiacchiera con sedici persone diverse tra 13 e 74 anni, un esperimento sobrio e giocoso che non aggiunge particolari rivelazioni a quello che già sperimentiamo nelle croci e delizie quotidiane. Insomma, come dire, una ulteriore conversazione che non cambia il mondo, ma che innocua, ce lo disvela per quello che è: un delirio. O una farsa tra i sessi, tra noi e gli altri; un bisticcio infinito tra l´intimità e cultura. Per i registi parlare di sesso equivale a discutere dei reali desideri, e del modo in cui vengono vissuti: l´impatto del sesso nella vita, raccontato in profondità da tutti i soggetti coinvolti.

Altro punto, il campione. Sia Saskia che Ralf sono i primi ad assicurare che l´accuratezza statistica era l´ultimo dei loro pensieri. Una scelta precisa, ma anche discutibile, che semplifica il rapporto con la materia narrativa in ballo non diversificando la piccola inchiesta: non importa l´estrazione di chi è intervistato, perchè l´esperienza di cui parliamo raggiunge tutti con i suoi presunti proibiti tentacoli. Sono lontanissimi i tempi in cui nel nostro cinema qualcuno percorreva una Italietta scandalizzata chiedendo ad intellettuali e ad operai i loro pensieri su amore e sesso. Con “Sex:Sprache” stiamo nella Berlino del 2015, la Berlino liberata dalle mutande e dalla storia.

Una città che compare a tratti nel documentario, con le sue strade, semafori, umanità diverse. Una città che si propone come un libero baluardo, che fa dei pari diritti, dei diritti civili, un´appendice del suo marketing, con cui forse meritatamente si è rifatta una vita. Il limite del documentario resta quello di dare voce al solito noto “giro creativo”, al netto di una società in cui l´unica differenza tra classi rimanda ai soldi. Eppure per un luogo che sbandiera sempre orgoglioso il suo meltin pot ci saremmo volentieri goduti riflessioni delle donne turche, dei loro fratelli e mariti, o se il tabù in questo caso era troppo per essere infranto, avremmo aspettato ulteriori soluzioni.

Invece la parola al migrante è data da un italiano, resa elemento macchietta anche per l´accento tedesco indubbiamente non autoctono. La cosa buona è, tuttavia, l´assenza di categorie che spesso a forza sono ritenute conditio sine qua non per l´argomento come transessuali o dichiarati sadici e masochisti. Vedremo se la loro assenza renderà comunque appetibile il documentario per il pubblico italiano, quando sarà trasmesso (canale Cielo), prossimamente, dalla nostra sempre ricettiva televisione nazionale.

@NatashaCeci

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