Una Corte costituzionale ridotta ai minimi termini – undici giudici, il minimo legale, perché uno è assente e tre non sono stati sostituiti dal parlamento – ha deciso ieri pomeriggio che la legge Severino non è incostituzionale. Almeno non nella parte in cui regola diversamente la posizione dei parlamentari rispetto a quella degli amministratori locali condannati. I primi decadono dal mandato solo dopo la condanna definitiva, i secondi vanno sospesi per 18 mesi anche dopo una condanna in primo grado. Tra questi Luigi de Magistris, sindaco di Napoli condannato a un anno e tre mesi per abuso d’ufficio e protagonista del caso discusso ieri dalla Consulta. Il cui esito, però, più che sulle sorti del sindaco, finirà per pesare su quelle del presidente della regione Campania Vincenzo De Luca, anche lui condannato per abuso d’ufficio (un anno) e anche lui minacciato di sospensione in virtù della – ieri convalidata – legge Severino.
De Magistris rischia poco in concreto perché proprio oggi la Corte d’appello di Roma dovrebbe decidere sul caso Why not – in primo grado era stato condannato per aver illecitamente acquisito le telefonate di alcuni parlamentari nel 2006 da pm di Catanzaro. Quel reato è prescritto da alcuni mesi. Il sindaco ha sempre dichiarato di voler essere assolto nel merito ma fin’ora non ha rinunciato formalmente alla prescrizione, potrebbe però appellare in Cassazione il proscioglimento, alla ricerca di un’assoluzione piena. Nel frattempo il tribunale civile di Napoli dovrebbe confermare la «sospensione della sospensione» e lasciare il sindaco al suo posto.

Il ricorso sulla presunta incostituzionalità della legge Severino era arrivato alla Consulta dal Tar della Campania. Il sindaco infatti si era rivolto alla giustizia amministrativa per restare a palazzo San Giacomo malgrado la condanna penale. Nel frattempo la Cassazione ha stabilito che non è del Tar la competenza sull’applicazione della legge Severino, eppure non è per questo che ieri la Consulta ha dichiarato inammissibile il ricorso. I giudici delle leggi sono entrati nel merito del ricorso, il che è una brutta notizia per De Luca che ha presentato – per le vie giuste del tribunale ordinario – identica eccezione alla Consulta.
In attesa delle motivazioni della sentenza della Corte costituzionale di ieri, bisogna attenersi al comunicato nel quale la Consulta segnala di aver ritenuto «non fondata» la questione di costituzionalità riferita al punto del diverso trattamento tra amministratori locali e parlamentari. Nulla si dice dell’altra e più dibattuta questione, e cioè del fatto se la sospensione (o la decadenza) debba considerarsi non la conseguenza automatica della mancanza dei requisiti di onorabilità dell’eletto, ma una sanzione che in quanto tale non può essere fatta valere retroattivamente. Ma sul punto la Consulta si era già espressa in precedenti sentenze, richiamate proprio nei lavori parlamentari che hanno condotto all’approvazione della legge Severino prima (governo Monti) e alla decadenza di Berlusconi poi (governo Letta).

Il cavaliere ha sempre sostenuto di essere stato sanzionato con la decadenza per una condanna ricevuta prima (per quanto non definitiva) dell’approvazione della legge Severino. Un argomento che non può usare il presidente campano De Luca, che si è candidato alla guida della regione quando era stato già condannato e con la legge Severino ben in vigore. Tanto da mettere in imbarazzo il governo, con Renzi che prima ha appoggiato la sfida alla legge di De Luca e poi ha schierato l’avvocatura dello stato in difesa della Severino davanti alla Consulta.
Il caso di de Magistris è ancora diverso, perché il sindaco di Napoli è stato eletto nel 2011, tre anni prima della condanna in primo grado e un anno prima della stessa legge Severino. Nel suo caso, al limite, sarebbe stato più facile ricorrere all’argomento della non retroattività delle sanzioni penali, stabilito dall’articolo 25 della Costituzione. Nel 2011 de Magistris era stato colpito ancora soltanto dal trasferimento d’ufficio deciso dal Csm e – particolare curioso – fu allora assistito dal giudice Alessandro Criscuolo come difensore di fiducia. Criscuolo oggi presiede la Corte costituzionale che ha dato torto al sindaco.
L’argomento della retroattività è lo stesso sul quale puntava De Luca e sul quale continua a sperare anche Berlusconi, che si è per questo rivolto alla corte di Strasburgo (decisione in arrivo). Caduto questo, il governatore ha un’ultimo asso per tentare di restare in sella, quello dell’eccesso di delega. La legge Severino avrebbe cioè esagerato nel comprendere il reato di abuso d’ufficio tra quelli che comportano la sospensione. Su questo De Luca ha incentrato il suo ricorso alla Consulta. Da ieri ha meno speranze. Ma fino a che i giudici costituzionali – magari a ranghi completi – non si occuperanno di lui, può restare in carica.