È una settimana fondamentale, anzi decisiva, quella che aspetta la sindaca di Roma Virginia Raggi. Per uno strano gioco del destino si materizzano, una dopo l’altra, praticamente tutte le questioni che si sono andate accumulando in questo primo anno e mezzo di amministrazione: le beghe interne, le spine nel fianco delle aziende municipalizzate e del bilancio, gli errori clamorosi dell’avvio di consiliatura e del «raggio magico» che si era formato attorno alla sindaca, la spada di Damocle del processo per falso, l’abbraccio controverso con le politiche salviniane e il rapporto sul filo di lana col governo gialloverde. Una sequela impressionante di nodi che vengono al pettine nel giro di pochi giorni.

OGGI L’AGENDA del Campidoglio prevede la convocazione della giunta. A scanso di sorprese, e di rientri improvvisi e precipitosi, la sindaca non ci sarà: è impegnata nel «Viaggio della memoria» attraverso i luoghi della Shoa. Ci sarà invece domani, nel primo pomeriggio, al Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica. Si parla di faccende che preoccupano molto la maggioranza grillina: gli sgomberi delle occupazioni abitative e la presenza dei migranti nei dintorni della stazione Tiburtina.

ALLA RIUNIONE dovrebbe partecipare anche Matteo Salvini, se non di persona in videoconferenza. La sindaca è rimasta avvinghiata nella spirale securitaria che il ministro degli Interni padroneggia con grande scioltezza. Dapprima Raggi ha cercato di cavalcarla, seguendo l’istinto legalitario del M5S. Poi la tolleranza zero ha cominciato a trasformarsi in un boomerang politico. Roma rischia di diventare uno dei luoghi i cui il M5S fa da apripista al governo della Lega. Anche per questo, pezzi della squadra di Raggi (in primis il vicesindaco Luca Bergamo) hanno marcato distanza da ogni soluzione repressiva. I voti dei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni per rimpiazzare quelli dei dissidenti al Senato sul decreto sicurezza potrebbero preludere all’ennesima beffa, con la leader di Fdi candidata di Salvini e al tempo stesso fiancheggiatrice del presunto «governo amico».

La sindaca incontrerà i suoi il giorno successivo. Anche se il presidente dell’Assemblea capitolina Marcello De Vito (ex avversario interno della sindaca ma ormai vincolato alla sua scadenza) ha evitato di convocare il Consiglio comunale in giorni tanto incandescenti, per giovedì è stato fissato un incontro del gruppo di maggioranza. Si prenderà laconicamente atto del rifiuto del governo di stanziare 180 milioni di euro per riparare le buche nelle strade della capitale, si parlerà dello stato delle casse comunali e si affronterà lo scontro con Ama, l’azienda dei rifiuti che conta 8 mila dipendenti e un bilancio da centinaia di milioni di euro l’anno. I crediti che la municipalizzata vorrebbe esigere dal Comune sono al centro di tensioni tra la sindaca e l’assessore al Bilancio Gianni Lemmetti, paracadutato dalla giunta grillina di Livorno dopo una serie di rocamboleschi avvicendamenti.

SIAMO ARRIVATI A VENERDÌ. Il processo per l’accusa di falso per la promozione di Raffaele Marra, fratello di Renato, incombe e in tribunale apparirà la teste Carla Raineri, la magistrata che la sindaca aveva chiamato a palazzo Senatorio per affidarle il ruolo chiave di capo di gabinetto e che se ne andò sbattendo la porta dopo che venne chiesto all’Anac di Raffaele Cantone un parere suicida sulla sua nomina. Da Raineri ci si attende una testimonianza pesante, perché fu lei che una volta fuori dal Campidoglio scrisse di suo pugno una memoria riguardante la sua esperienza nelle stanze del potere grillino nel quale l’inner circle di Raggi veniva ritratto impietosamente. Nel pomeriggio dello stesso giorno, tuttavia, Raggi potrebbe consolarsi con un bagno di folla. A patto che la manifestazione organizzata dai suoi sostenitori sotto la statua equestre di Marco Aurelio, davanti alle finestre del Consiglio comunale, si riveli un successo.

QUALCHE ORA DI SONNO e poi sveglia presto (e siamo a sabato mattina: il fatidico 10 novembre) in attesa della sentenza della sezione monocratica del tribunale. Qui si apre il bivio cruciale: dimettersi in caso di condanna? Il reato è di quelli minori, e la legge Severino non prevede alcun automatismo. Solo che il codice etico del M5S prevede le dimissioni anche per una condanna in primo grado. Raggi probabilmente si prenderà qualche giorno per decidere, ma alcuni personaggi ancora influenti, come la consigliera regionale del Lazio Roberta Lombardi, hanno fatto sapere di considerare automatico il passo indietro.

DA QUI SI ARRIVA A DOMENICA, il giorno in cui si celebra il referendum sulla liberalizzazione del trasporto locale. È un voto controverso e soltanto consultivo, ma che ancora una volta tira in ballo il rapporto della città, e dei suoi malmessi servizi pubblici, con gli elettori.