Cosa non farebbero i governi occidentali per guadagnare qualche consenso in più ai vertici dell’industria nazionale quando si avvicinano le elezioni. E la vendita delle armi è una delle strade più rapide e redditizie. Poco importa se quelle armi vanno a un Paese immerso in una crisi regionale dagli sviluppi imprevedibili o in un conflitto vero e proprio. L’Italia non ha alcuna intenzione di farsi escludere dal club dei mercanti di armi per le aree di guerre presenti e future. Così dopo aver venduto a Israele aerei addestratori per piloti impegnati in frequenti raid su Gaza, Libano e Siria e aver spedito un po’ di bombe all’Arabia saudita, che le sgancia sui civili in Yemen, il ministro degli esteri Alfano l’altro giorno è partito per Doha, da due mesi sotto pressione dell’Arabia saudita e i suoi alleati – Egitto, Emirati e Bahrain -, allo scopo di chiudere un accordo da 5 miliardi di euro che prevede la fornitura di sette navi da guerra italiane alla marina militare qatariota: quattro corvette, una nave da sbarco anfibia e due pattugliatori. «Il progetto impiegherà in Italia circa 1000 lavoratori» ha proclamato Alfano, per sottolineare che lui tiene prima di ogni cosa ai posti di lavoro italiani. Mica agli interessi della Fincantieri. Per questo, ha aggiunto, «non si tratta solo di un contratto di vendita ma di una collaborazione di lunga durata finalizzato, per i prossimi 15 anni, anche alla manutenzione, all’assistenza tecnologica e all’addestramento». Doha e Roma hanno già firmato a marzo l’accordo per l’addestramento dei marinai. Ufficiali qatarioti saliranno a bordo di navi italiane e un funzionario di collegamento sarà mandato a Doha.

A Fincantieri si sono associati in consorzio Leonardo e Mbda e nell’operazione con il Qatar sono coinvolte anche la Cassa depositi e prestiti e la Società per l’assicurazione del credito all’esportazione (Sace). Insomma siamo di fronte a quella che Alfano definisce con patriotico orgoglio una «operazione di sistema». Ancora meglio se l’accordo con gli emiri serve a punzecchiare il troppo intraprendente Macron entrato a sorpresa nel giardino di casa, la Libia, spiazzando il governo Gentiloni. Aggiungi a questo che le posizioni di Italia e Francia sui cantieri di Saint Nazaire restano lontane, dopo la decisione di Macron di rimettere in discussione i termini della proposta di acquisizione da parte italiana del colosso francese. E quella è una battaglia che, tra le altre cose, riguarda anche commesse militari da 40 miliardi.

Rassicura il fatto che il Doha, numeri alla mano, le navi italiane difficilmente potrà impiegarle in una guerra. Il gigante dell’esportazione di gas naturale possiede le forze armate tra le più piccole del Golfo, non ha una Marina militare moderna e le unità navali che costruirà la Fincantieri non sono destinate a cambiare drasticamente la situazione. Nulla di paragonabile alla forza dei cugini-nemici dell’Arabia saudita che comprano ogni anno armi per decine di miliardi di dollari, dagli Usa e dalla Francia. Alfano l’altro giorno ha chiesto una “de-escalation” della crisi nel Golfo, cominciata ai primi di giugno quando il fronte sunnita a guida saudita ha accusato il Qatar di sostenere il “terrorismo” e di mantenere rapporti con l’odiato Iran. Il suo omologo, Mohamed Abderrahman al Thani, ha replicato che sono gli “altri” che non vogliono la soluzione della crisi.

I regnanti qatarioti hanno mostrato di saper rispondere alla misure punitive adottate dai sauditi. E hanno anche compreso che non c’è nulla di più irritante in questo momento per la monarchia al Saud che sentir parlare del Qatar in ogni angolo del pianeta. L’acquisto delle navi italiane, giunge assieme al clamore, enorme, suscitato dal passaggio del fuoriclasse brasiliano Neymar dal Barcellona al Paris SG nel quadro di un complesso accordo finanziario che vedrà il Fondo nazionale del Qatar garantire le centinaia di milioni di euro che serviranno per il cospicuo buy-out che spetta al club catalano e per coprire il contratto faraonico del calciatore. Lo sport è uno dei canali più usati dal Qatar per far rumore, a cominciare dai Mondiali di Calcio del 2022 che si è assicurato nonostante le condanne dei centri per i diritti umani per lo sfruttamento del lavoro e la morte di decine di operai (in gran parte stranieri) sui cantieri degli stadi in costruzione. In patria intanto i qatariori esaltano la figura dell’emiro Tamim bin Hamad Al-Thani, ribattezzato “Tamim al-majd” ossia “Tamim il Glorioso”.