Va bene che l’era Casalino, con la comunicazione studiata al millesimo e la scenografia curata nel dettaglio, è finita e che il nuovo premier intende segnare una differenza netta col passato, ma lo scarto qui è quasi esagerato. Difficile immaginare uno stile più minimalista, quasi povero, di quello adoperato nel video con cui Mario Draghi si è rivolto ieri non solo alle donne, in occasione dell’8 marzo, ma al Paese intero. Décor ridotto all’osso: la bandiera italiana e quella europea da un lato, di sguincio, un’anonima parete giallina sullo sfondo. L’interprete principale è in piedi, un po’ rigido, evidentemente teso e palesemente a disagio davanti alle telecamere.

Il premier più parco di parole degli ultimi decenni ha inviato il suo videomessaggio in apertura della conferenza «Verso una strategia nazionale sulla parità di genere» e all’argomento del giorno ha dedicato l’ultima parte del suo messaggio, del resto conciso, 7 minuti e 16 secondi per fare il punto su una crisi che non risparmia neppure gli angoli più remoti dell’edificio Italia, a partire naturalmente dalla situazione sanitaria. Nella sostanza il cambio di marcia è tanto marcato quanto nell’apparenza. Nessun trionfalismo, nessun risultato positivo sbandierato, nessuna rampogna, neppure velata, per i cittadini e il loro comportamento. Al contrario Draghi descrive una situazione grave, esordisce parlando del «nuovo peggioramento della situazione sanitaria», sottolinea la scelta di «non promettere nulla che non sia veramente realizzabile» ma allo stesso tempo ripete che «si intravede con l’accelerazione del piano vaccini una via d’uscita». Nessun facile ottimismo ma «un segnale di fiducia. Anche in noi stessi».

Per i cittadini ci sono solo riconoscimenti, complimenti, ringraziamenti. Anche qui la torsione è palese: non più il governo che fa ma rischia di vedere le sue scelte vanificate dall’indisciplina popolare ma, al contrario esatto, un Paese disciplinato, che sopporta la crisi «con infinita pazienza», deve vedersela con «le conseguenze anche economiche della pandemia» e col quale, dunque, il governo è in debito. La direzione è la stessa verso la quale navigava Giuseppe Conte: salute al primo posto, promessa di massima attenzione per le diseguglianze cresciute nella crisi fino a contare «un milione di persone in più in povertà assoluta», impegno a cogliere «l’opportunità straordinaria» offerta dal Next Generation Eu per aggredire la disparità di genere, nota dolente alla quale in premier dedica metà del suo messaggio. Opposto è però lo stile. Draghi continuerà a parlare poco, deciso a giocarsi la partita solo sul piano dei risultati. Sul fronte del Recovery Plan, certo, ma prima ancora su quello delle vaccinazioni. La promessa qui è esplicita e reiterata: un piano vaccini «che nei prossimi giorni sarà decisamente potenziato». Il primo vero giudizio sul governo Draghi dipenderà dall’esito di quella scommessa.

Alcuni messaggi e richiami all’ordine il premier li invia, ma con discrezione, in modo che arrivino a destinazione ma senza essere notati. Ricorda che «salvaguardare con ogni mezzo la vita degli italiani» è priorità «a tutti i livelli istituzionali», Regioni incluse. Segnala ai partiti che lo sostengono che «questo non è il momento di dividerci o di riaffermare le nostre identità». Ci sarà tempo e modo per darsi battaglia. A emergenza superata.

A differenza di quanto succedeva con Conte, il messaggio non è accompagnato dalla raffica di dichiarazioni entusiastiche della maggioranza. Parlano in pochi e si dilunga solo Silvio Berlusconi chiedendo «un cambio di passo e scelte chiare, comunicate con adeguato anticipo perché nulla fa peggio della dell’incertezza e delle scelte che si contraddicono». Come la Lega, ma in modo diverso, il Cavaliere mira a mettere il proprio cappello sulle scelte del presidente del consiglio, a farle apparire come dettate da lui. Ma alla fine il verdetto su Draghi dipenderà solo da quel che Draghi saprà fare.