Un altro mese si aggiunge alla lista di quelli senza verità. Il 25 gennaio 2016 Giulio Regeni scompariva al Cairo, dove conduceva una ricerca sui sindacati egiziani. È stato ritrovato il 3 febbraio, morto. Barbaramente torturato e poi ucciso.

Da allora la famiglia, la società civile italiana e quella egiziana, organizzazioni e semplici cittadini chiedono di rompere il muro di silenzio calato sul suo omicidio, di cui il regime del generale al-Sisi ha piena responsabilità politica.

Nessun risultato è stato archiviato e, al contrario, ad agosto si sono fatti passi indietro, ci spiega Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, da febbraio capofila della campagna “Verità per Giulio Regeni”.

L’Egitto parla ancora di piena collaborazione con l’Italia. Ma non se ne ha traccia

Immaginavo che il mese di agosto non avrebbe portato sviluppi positivi sul piano dell’accertamento dei fatti. Ma non mi aspettavo ce ne fossero due negativi, in linea con quella sensazione di normalizzazione dei rapporti tra i due paesi. Innanzitutto la doppia dichiarazione del presidente al-Sisi e del Ministero degli Esteri secondo cui i rapporti con Roma sono ottimi e l’Italia ne sarebbe contenta. Queste dichiarazioni non sono state smentite dall’Italia, per cui ci chiediamo se sia davvero così. E se è così, sarebbe interessante capire chi lo ha detto, in quale occasione, con quali modalità.

Il secondo episodio è la visita del senatore Barani, accolto in Egitto all’inizio del mese come fosse un rappresentante ufficiale del governo italiano. Barani ha ribadito la teoria del complotto per rovinare le relazioni tra Italia e Egitto. Il suo partito, Ala, fa parte della maggioranza di governo, ma né la maggioranza né il governo si sono dissociati. Sono segnali che preoccupano, soprattutto perché siamo ancora fermi dall’unica misura presa dal governo, ovvero il ritiro dell’ambasciatore dal Cairo ad aprile.

Cosa deve fare oggi l’Italia?

Dichiarare l’Egitto paese non sicuro e pretendere la scarcerazione di tutti gli attivisti per i diritti umani e la fine della persecuzione giudiziaria di gruppi e singoli. In secondo luogo, sospendere il trasferimento di armi e software di sorveglianza all’Egitto. È poi necessaria quella che chiamiamo la via dell’internalizzazione del caso di Giulio. Non si tratta di un’alternativa all’inchiesta italiana, ma una forma di pressione complementare. Come l’assunzione delle misure previste dalla Convenzione Onu sulla tortura o commissioni di inchiesta e risoluzioni dell’Onu che abbiano un peso almeno morale. Che dicano, cioè, che i diritti umani in Egitto non interessano solo la famiglia Regeni, Amnesty o milioni di cittadini italiani.

Sembrava che la terribile morte di Giulio avesse aperto gli occhi delle opinioni pubbliche internazionali sulla campagna repressiva di Stato egiziana, ma Il Cairo non ha visto intaccata la sua rete di alleanze occidentali

La situazione dei diritti umani è addirittura peggiorata. Le opinioni pubbliche straniere sono consapevoli della situazione, la stampa Usa ha dato un sostegno inaspettato e approfondito, ma sul lato delle istituzioni viviamo un paradosso: il paese isolato non è l’Egitto ma l’Italia. Se l’Unione Europea fosse davvero solidale avremmo 27 ambasciatori ritirati e non uno. L’Egitto è stato abile nel mantenere saldo il suo ruolo di partner fondamentale nel dossier Libia, nel dossier immigrazione, nel dossier terrorismo, mettendoli in contrasto con il caso Regeni. La richiesta della verità è considerata quasi un fastidio, un ostacolo.

Cosa vi dicono le organizzazioni egiziane ancora attive?

Siamo in contatto con organizzazioni locali che hanno ancora un minimo spazio di manovra. In questi giorni sta arrivando al culmine l’inchiesta giudiziaria aperta nel 2011 sui finanziamenti esteri alle ong egiziane e si sta procedendo con divieti di espatrio, congelamento dei fondi, confische di beni. Quel mondo, la società civile egiziana, rischia di essere il prossimo desaparecido. Significa che tra pochi anni non avremo più notizie da un paese con organizzazioni chiuse, avvocati in carcere, stampa “sisizzata”.