La Basilica della Natività di Betlemme chiusa assieme alle altre chiese e alle moschee per due settimane. Altrettanto faranno scuole, università, associazioni, sale per conferenze e matrimoni. Più di tutto, a partire da oggi, scatta lo stop all’ingresso dei turisti stranieri, il polmone dell’economia della città. Gli esperti lo avevano previsto, dopo Israele il coronavirus sarebbe arrivato anche nei Territori palestinesi occupati. E i primi contagiati sono di Beit Jallah, alle porte di Betlemme. Sette dipendenti dell’Angel Hotel, ha riferito ieri la ministra della salute dell’Anp, Mai al Kaila, sono risultati positivi agli esami effettuati all’ospedale israeliano Sheba. E sono ora in quarantena assieme ai loro colleghi e a due medici.

 

A trasmettere il contagio sono stati alcuni dei 21 turisti greci, ospiti dell’hotel, che si sono ammalati al loro rientro in patria. Potrebbero aver diffuso il virus anche in altri centri perché, durante la vacanza, sono stati un po’ ovunque in Israele e in Cisgiordania. L’allarme perciò è forte anche in Israele dove sino ad oggi sono stati accertati 17 casi di contagio – otto dei quali legati a viaggi turistici in Italia – e decine di migliaia di persone sono state messe in quarantena.

 

Quando si è diffusa la notizia del contagio all’Angel Hotel, Betlemme, Beit Jala e la vicina Beit Sahour sono state attraversate dalla paura: strade mezze deserte, negozi e ristoranti quasi vuoti, autobus con pochi passeggeri. Nella centrale Piazza della Mangiatoia di Betlemme sono rimasti solo venditori ambulanti e comitive di turisti giunti nei giorni scorsi. «Come il mio, tutti gli hotel sono pieni di turisti, da domani però non sarà più possibile accettare prenotazioni dall’estero» ci spiegava ieri Doha Bandak, manager del Gran Hotel di Betlemme. «Per gli albergatori  sarà un danno grave proprio nella fase di massima espansione del turismo a Betlemme». Peraltro l’emergenza coronavirus e lo stop agli arrivi da tanti paesi europei (Italia inclusa) e asiatici deciso dal governo Netanyahu, giungono mentre le strutture turistiche e religiose si preparavano alla Pasqua.

 

Ma più dell’economia in queste ore desta preoccupazione il sistema sanitario palestinese sotto occupazione, che non pare attrezzato ad affrontare questo tipo di emergenze. Il ministero della sanità dell’Anp ha diffuso istruzioni dettagliate alla popolazione sulle misure igieniche e i comportamenti sociali da adottare per impedire che si sviluppino nuovi focolai di infezione a Betlemme e in altre città. Ma non sono state ancora allestite altre strutture sanitare per il coronavirus.

 

Si teme molto per Gaza, dove oltre due milioni di palestinesi vivono come prigioneri in un territorio di meno di 400 kmq. Gli ospedali, stremati oltre 12 anni di blocco israeliano e dalle conseguenze dello scontro Anp-Hamas, non sono in grado di far fronte a una larga diffusione del coronavirus a Gaza. Mancano strutture adeguate e la popolazione ha protestato con forza qualche giorno fa per l’evacuazione di un ospedale che diventerà un’area di quarantena per alcuni casi sospetti riguardanti palestinesi sono tornati a Gaza a febbraio da paesi dell’Estremo Oriente.