Quando il giudice di una corte di Baku ha letto la sentenza che la condannava a 7 anni e mezzo di reclusione, la giornalista investigativa azera Khadija Ismayilova ha riso.

Un atto di scherno ad amaro commento dell’ennesimo processo farsa contro un oppositore del governo, solo a parole democratico, del presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev. Proprio del figlio e successore del padre della patria Heydar (quello del contratto del secolo con la Bp nel 1994), Khadija aveva scoperto varie magagne. Ad esempio che gli Aliyev controllano circa l’80 per cento del mercato telefonico nazionale, usando società con sedi nei paradisi fiscali. O ancora che la famiglia presidenziale, tramite una rete di compagnie registrate tra Panama e il Regno Unito, si è di fatto auto-assegnata i diritti di sfruttamento di una ricca miniera d’oro nella parte occidentale del Paese. Inchieste scomode, scomodissime, che l’esponente di Radio Free Europe ha continuato a condurre nonostante qualche pesante «avvertimento».

«Già in passato avevano tentato di metterla a tacere, come quando avevano pubblicato un video girato nel suo appartamento mentre era in intimità con il suo ragazzo. Poi i media vicini al governo hanno svolto un ruolo di primo piano nell’amplificare tutta la vicenda». Così ci ha spiegato l’avvocato della Ismayilova, Fariz Namazli, quando lo abbiamo incontrato nel suo studio nella città industriale di Sumgait, a pochi chilometri da Baku. Namazli ci ha elencato le accuse affibbiate a Khadija lo scorso dicembre, mese del suo arresto, che andavano dall’incitamento al suicidio, fino all’appropriazione indebita e a vari reati fiscali. L’ex fidanzato, ovvero colui il quale sarebbe stato «indotto» al suicidio, nel corso del processo ha ritrattato, dichiarando di «aver eseguito la denuncia in uno stato di forte pressione». Però le altre imputazioni sono state ritenute valide dai giudici, che tre giorni fa hanno emesso la loro sentenza.

«Ho sempre avuto paura per lei, immaginavo che le potesse accadere il peggio, che la uccidessero, come è successo ad altri giornalisti. Le ho sempre detto di stare attenta, non le ho mai detto di smettere con il suo lavoro. Khadija ha sempre detto che ne valeva la pena, e sono d’accordo con lei. Ne vale la pena».

Lo scorso giugno Elmira, la madre della giornalista di Radio Free Europe e una delle poche persone cui è stato concesso di seguire le udienze del processo, ci ha detto queste parole pesanti come macigni. Quando abbiamo parlato con lei nella capitale dell’Azerbaigian erano in corso i primi Giochi Europei.

Sui prigionieri politici attualmente nelle carceri azere – si calcola siano almeno 100 – non sentirete dire una parola di biasimo dal premier Matteo Renzi, eppure l’Azerbaigian è il Paese al mondo che fornisce più petrolio all’Italia (17,1%), mentre a breve dalle rive del Caspio potrebbe arrivare fino in Salento il gas estratto dal giacimento di Shah Deniz. Stiamo facendo riferimento all’ormai famigerato gasdotto Tap, che la popolazione e le istituzioni locali non vogliono ma che Palazzo Chigi considera un’opera imprescindibile. Il Tap è troppo importante per le strategie energetiche europee, che puntano forte sul gas dell’Azerbaigian in nome di un presunto affrancamento dalla dipendenza dalla Russia.

Senza l’ultimo segmento, che prima di giungere in Puglia passa per Grecia e Albania, non servirebbero a nulla nemmeno gli altri due tronconi dell’opera: l’espansione della South Caucasus Pipeline, per cui i lavori sono giunti oltre al 30 per cento, e il Tanap, in Turchia, la cui realizzazione è alle battute iniziali. Il serpentone da Baku all’Italia, chiamato Corridoio Sud, sarà lungo oltre 3.500 chilometri, avrà una portata di 10 miliardi di metri cubici l’anno – espandibile a 20 – e costerà circa 45 miliardi di euro.

Tanti soldi, che stanno già arrivando da alcune importanti casse pubbliche. Nonostante la scarsa cura dell’Azerbaijian nei confronti dei diritti umani, lo scorso luglio la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e la Banca di sviluppo asiatica hanno approvato un prestito di 500 milioni di dollari per l’avvio dei lavori di costruzione del Corridoio Sud del Gas. Prestito agevolato che è servito da volano per raccogliere i finanziamenti di una cordata di altre istituzioni finanziarie, tra cui il ramo londinese di Bank of China, Ing Bank N.V, Société Générale e il ramo austriaco di Unicredit (Unicredit Bank Austria Ag). Il totale di questi prestiti raggiunge il miliardo di dollari. Per il TAP si starebbe muovendo anche la banca di sviluppo dell’Ue, la Banca europea degli investimenti, che si mormora possa a breve destinare al progetto ben due miliardi di euro.

Fa nulla se negli ultimi mesi anche due importanti avvocati e attivisti come Rasul Jafarov e Intigam Aliyev siano stati condannati a pene superiori ai sei anni di reclusione e che nell’ultima classifica stilata da Reporters Senza Frontiere l’Azerbaigian occupi la 161esima posizione su 180 paesi.
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