Solo, con il capo a un tratto leggermente chino, indosso un abito scuro e una mascherina bianca. L’immagine potente di Sergio Mattarella che il 25 aprile del 2020 scende le scale dell’Altare della patria sintetizza forse nel modo più efficace il percorso di un presidente che, superando le sue stesse resistenze, risale le scale del Quirinale con un nuovo fardello sulle spalle e, perché no, qualche soddisfazione. Quell’immagine simbolo, nella città desertificata dal virus, fa il paio con il «fuorionda» del mese precedente: Mattarella sta registrando un discorso alla nazione e il portavoce Giovanni Grasso gli fa notare che è un po’ spettinato: «Eh Giovanni, non vado dal barbiere neanche io…», risponde. La vicinanza con il paese chiuso e angosciato, la responsabilità di tenere la barra il più possibile dritta.

IL 31 GENNAIO DEL 2015, quando al termine della quarta votazione fu eletto presidente, le sue prime parole furono: «Il mio pensiero va soprattutto e anzitutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini. È sufficiente questo». Quello stesso pomeriggio fece un altro gesto fortemente simbolico, andando in visita privata alle Fosse Ardeatine. Sette anni dopo, con le difficoltà dei cittadini aggravate dalla pandemia e la speranza che per definizione dovrebbe saper sopravvivere anche al virus, nella giostra impazzita della politica il giurista di Palermo è stato trasformato lui stesso in ultima speranza.

NEL 2015 Mattarella fu il coniglio tirato fuori dal cilindro di Matto Renzi, prestigiatore infinitamente più abile dell’altro Matteo. I 5 Stelle non lo votarono, Forza Italia optò per la scheda bianca e Silvio Berlusconi dichiarò defunto il patto del Nazareno sentendosi gabbato dal premier. Ma da tutti arrivarono parole rispettose. Solo Salvini, tra una sortita sguaiata e l’altra, arrivò a annunciare una manifestazione contro «la sinistra che occupa tutte le poltrone». Mentre il Cavaliere – al quale negli anni precedenti l’inventore del Mattarellum aveva dedicato più volte composte parole al curaro – varcò per la prima volta il portone del Quirinale per incontrare il capo dello stato, ultimo tra i leader dell’opposizione, ben ventuno mesi dopo l’elezione. Era la fine dell’ottobre 2016.

POCO PIÙ DI UN MESE dopo a salire al Colle fu Renzi, per rassegnare le dimissioni dopo la sconfitta al referendum. Fu la prima crisi che Mattarella si trovò a gestire. Fu il primo assaggio di quanto l’ex democristiano riservato, dall’immagine vintage e un po’ sbiadita, quello che in molti immaginavano che avrebbe fatto sentire la sua voce il meno possibile, fosse tutt’altro che intenzionato a interpretare il suo incarico come quello di semplice notaio. Ruolo nel quale forse lo aveva immaginato lo stesso Renzi al momento di proporre il suo nome, non potendo prevedere che invece si sarebbe trasformato in uno dei presidenti più interventisti della Repubblica. L’ex segretario del Pd era pronto a correre al voto, sicuro di poter trasformare buona parte del 40 % di sì alla sua riforma in consensi elettorali. Sull’ipotesi delle urne dal Colle calò il gelo.

MA LA SUCCESSIVA formazione del governo Gentiloni (il secondo su 5 del primo settennato) fu una passeggiata. Le difficoltà vere, quelle che richiedevano sapienza politica e interpretazione attenta della Costituzione, cominciarono con le elezioni del 4 marzo 2018. E, nella gestione della tormentata fase che portò al governo gialloverde (in mezzo ci fu anche l’incarico a Carlo Cottarelli per provare a formare un governo balneare) , più di un costituzionalista contestò a Mattarella un passo falso in particolare con il suo fragoroso no alla nomina di Paolo Savona – che in passato aveva messo in discussione la permanenza dell’Italia nell’Eurozona – a ministro dell’economia. I 5 Stelle fecero ben altro. «Quella di ieri è stata la notte più buia della democrazia italiana», sentenziò su Fb Luigi Di Maio il 28 maggio. Il giorno prima, intervistato da Fabio Fazio, il pentastellato aveva dichiarato senza imbarazzo: «Bisogna mettere in stato di accusa il presidente. Bisogna parlamentarizzare tutto anche per evitare reazioni della popolazione». Ci mise poco, lo scaltro leader, a piroettare in favore del Colle. La richiesta di impeachment si trasformò in una manifestazione di protesta che poi, con la nascita del governo Conte uno, diventò una festa con tanti applausi al presidente.

POI IL PAPEETE, un’altra crisi, un’altra scommessa dilettantistica di Salvini, quella di poter andare al voto e prendere «pieni poteri». Nuovi, estenuanti giri di consultazioni per evitare le urne prima della nascita del Conte II. Infine l’ultima crisi e di nuovo un ruolo in prima linea per Mattarella, con una preoccupazione in più: il virus che non arretra. Il 2 febbraio 2021 il capo dello Stato, scuro in volto, dichiara: «Avverto il dovere di rivolgere un appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica». Nel 2015, nel discorso di insediamento, Mattarella aveva rivolto un altro appello: «L’arbitro deve essere e sarà imparziale. I giocatori lo aiutino con la loro correttezza». Sul campo affollato della larghissima maggioranza i giocatori hanno preso a tirarsi gomitate. E nemmeno stavolta l’arbitro è rimasto a guardare.

«SONO CONTENTA e soddisfatta», ha commentato Liliana Segre, senatrice a vita nominata da Sergio Mattarella il 19 gennaio 2018.