La parabola del movimento operaio nell’ultimo secolo ha un andamento inverso e oggi sta toccando il limite più basso. Al posto della campana che suona a morto, il suo simbolo è una sirena silenziata. La storica sirena di mezzogiorno della Falck di Sesto San Giovanni, zittita per volontà dell’amministrazione di centrodestra nel 2018, come a voler chiudere il mito della «Stalingrado del nord». Vale però la pena raccontarne cento anni di storia con un libro (Per chi suona la sirena, Ediesse, pp. 303, euro 18) corale, godibilissimo e con una sezione fotografica mirabile anche per indicare una speranza di rinascita, basata su quel concetto di salute oggi tornato drammaticamente centrale e per il quale gli operai di Sesto si spesero come pochi fin dagli anni ’70.

A guidarci nel viaggio nel comune dell’hinterland milanese che durante tutto il 900 ha avuto la più grande densità di fabbriche è Antonio Pizzinato, sestese d’adozione che dopo una lunghissima carriera sindacale a 88 anni ha ancora la passione per la sua città e la sua storia.

SI PARTE quindi dalle officine Osva del 1891 quando Sesto è un paesone agricolo, per arrivare in pochi decenni – complice la prima Guerra mondiale e la domanda bellica – ad essere un conglomerato di fabbriche: le acciaierie Falck, la Breda che sforna treni e la Ercole Marelli che produce motori elettrici. Nel 1927 il censimento registra oltre 17mila occupati di cui il 94% nel settore industriale.

Antonio Pizzinato in un’immagine d’archivio

Poi arrivano il villaggio Falck (gli operai devono avere una casa) e il sindacato che lì trova terreno fertile per il suo proselitismo. Il primo sciopero è del 1913 alla Breda e viene mirabilmente riassunto dal giornale Il cittadino della domenica: «Gli operai del materiale mobile ferroviario chiedevano un miglioramento delle loro posizioni. Gli industriali, a malincuore, lo accordarono nella proporzione di dieci centesimi a testa. Però chiedevano di distribuire questo miglioramento tra gli operai come a loro meglio piacesse. Gli operai insistevano nel domandare che l’aumento, poco o molto, fosse concesso in misura eguale, a tutti». Quell’«insieme con giustizia» non è cambiato.

Il periodo fascista – con la brutale repressione del «biennio rosso» che a Sesto vide la vittoria alle elezioni dei socialisti – è contrassegnato dalla grande importanza data dal regime al «sistema Sesto». Mussolini in persona tenne un discorso agli operai nel 1930: «malgrado la sua oratoria efficace, la folla di operai e impiegati rimaneva muta», recitano le cronache.

DURANTE LA GUERRA il numero di lavoratori nelle aziende supera quello degli abitanti e Sesto diventa per tutti «la città delle fabbriche». Gli scioperi partono nel ’43 e contribuiscono alla caduta del regime, ma la vendetta dei fascisti fu durissima: 573 operai furono avviati ai campi di concentramento, 233 non faranno ritorno. Il legame fra resistenza e sindacato è fortissimo – la terza Gap di Milano è in buona parte costituita dagli operai della Breda – e verrà poi impersonificato anche da Pizzinato stesso che è stato presidente provinciale e poi regionale dell’Anpi negli anni Duemila.

Gli anni ’50 sono quelli della ristrutturazione post-guerra. Nel 1964 Pizzinato diventa responsabile Fiom di Sesto, periodo che coincide con i grandi scioperi, con l’abolizione della gabbie salariali e la conquista del Servizio di medicina sugli ambienti di lavoro (Smal).

A Sesto succede tutto prima. Parte l’autunno caldo ma l’inverno coincide con piazza Fontana. Così come i Consigli di fabbrica e il Sum (sindacato unitario dei metalmeccanici) che anticipano l’Flm. Gli anni di piombo sono i più difficili, da cui parte la discesa finale che porterà alla progressiva chiusura delle fabbriche a partire dalla Falck nel 1996. Da quel giorno si inizia a parlare di «riconversione dell’area industriale di Sesto», ancora oggi non concretizzata. Del 2012 è la firma del Piano integrato per far nascere la «Città della salute e della ricerca» redatto da Renzo Piano. Un piano silenziato, esattamente come la sirena della Falck nel 2018..

LA SECONDA PARTE del libro è dedicata alle testimonianze in prima persona. Da Laura Bodini, figlia di un impiegato Falck, che racconta l’epopea della battaglia per la salute e sicurezza del lavoro, agli ex sindaci Fiorenza Bassoli e Giorgio Oldrini. Ma è nelle pagine finali che Pizzinato dà il senso al volume, ripercorrendo tutte le tappe che hanno portato allo «smantellamento» della «città delle fabbriche» in un «riflusso produttivo» in cui Sesto è caleidoscopio dell’Italia e dell’intero occidente: oggi ci sono solo «29mila lavoratori dipendenti di cui l’80% sono occupati in aziende sotto i 5 dipendenti», «tocca al sindacato creare le nuove strutture organizzative» «per ritrovare la forza, per incanalarla, concentrarla, usarla». Una nuova sfida che sarebbe bello partisse proprio da Sesto.