Isabel Losada, ex attrice, è una scrittrice inglese. Scrive di sue esperienze personali, raccontate con humor e un certo taglio analitico. È piuttosto «trendy», a contatto, non banale né critico, con le correnti di pensiero che determinano, senza darsi a vedere per quel che sono, un modo di vivere occidentale tutto sommato appagato di sé, culturalmente e politicamente «corretto». Più dentro che fuori da questo modo, che mescola un pizzico di problematicità con tanti espedienti di piccola felicità, lo riproduce in «presa diretta».

Ha presentato il suo nuovo libro («Sensation. Adventures in Sex, Love and Laughter») con un intervento su The Guardian intitolato «Sesso dipendenti, il sesso non deve essere rovente».

La sua tesi è che fare sesso andando alla caccia dell’orgasmo è un obiettivo insensato. Ci può piacere la cucina indiana, scrive, senza pensare che più piccante è il cibo meglio è. Nella vita ci sono tanti colori e aromi sottili. Perché preferire sempre e comunque il rosso accesso?

Nel libro Losada parla di un anno di esperienze erotiche sperimentali (come lunghi sfregamenti clitoridei e rapporti senza eiaculazione) messe in atto, con l’aiuto di esperti, insieme al suo partner. L’obiettivo era di vivere tutte le sfumature dell’eccitazione sessuale senza focalizzarsi sull’orgasmo. Non trova nulla di sbagliato nell’orgasmo, semplicemente non lo pensa come scopo prioritario. Ci sarebbero tante cose piacevoli da scoprire prescindendone.

È opinione comune, «facile a dirsi», che è meglio non pensare all’orgasmo se si vuole raggiungerlo.

Tuttavia, Losada non parla di questo. Per lei dell’orgasmo se ne può fare a meno, senza drammi. È possibile che voglia convincere più se stessa che gli altri, ma l’aspetto fortemente discutibile del suo discorso è altrove.

Il fraintendimento dell’orgasmo, fuorviato nella sua carne e nel suo significato, è un segno (antropologico) fondamentale della nostra epoca. C’è chi autorevolmente lo designa come «godimento maligno», ricerca del piacere illimitato, oppio della soggettività. Altri, una massa di consumatori «tipo», lo vedono come eccitazione rovente riproducibile a volontà (con il soccorso di tecniche e sostanze). La prima prospettiva scambia l’orgasmo con la ricerca carica di angoscia di una sua configurazione onnipotente che allontana la percezione della sua impossibilità. La seconda imita la sua realizzazione in un tentativo che non inganna i sensi, ma riesce a confondere il pensiero.

L’orgasmo è un’esperienza di piacere profondo che coinvolge l’intera materia psicocorporea, trasformandola. La destruttura aumentandone la permeabilità e la sensibilità. Non ha nulla di eccessivo e di rovente, ma persistenza, cambiamenti di ritmo e intensità. Ha un limite temporale e di ampiezza che definisce il gioco della tensione, e dell’apertura/chiusura dei confini del corpo, che gli è proprio.

Questo gioco rifugge la scarica e il sollievo: si espande sino a un acme per sfociare poi in una soluzione che sosta su se stessa, senza brusche interruzioni, sino a trovare la percezione di una presenza piacevole in se stessi e nel mondo.

Il sostare a lungo nella gradevolezza del contatto, assaporando le tonalità del piacere nel suo variare dove esso origina, ha il suo sbocco naturale nella penetrazione, diffusione in profondità dell’eccitazione che sfocia nell’orgasmo. Quando l’assaporare diventa cosa a sé, si assiste a una paradossale sublimazione dell’eros che lo blocca nel luogo della sua nascita, invece di espanderlo al di là dei suoi confini senso-corporei. Un trafficare in superficie, disincarnazione, misconosciuta, della soggettività.