Fleabag. Eccola, l’ho trovata, una serie televisiva esplicita sul sesso esiste. Mai politically correct, intelligente, sarcastica, ironica, stilisticamente inventiva. Scritta e recitata sapientemente. Nel volto della protagonista il senso intero dell’operazione. L’idea nasce da un monologo teatrale scritto e interpretato da Phoebe Waller-Bridge, messo in scena a Edimburgo nel 2013, che le è valso un Edinburgh Fringe First Award. Andata in onda su BBC Three nell’estate 2016 (la trovate su Amazon Prime Video), me ne era giunta giusto un’eco sottovoce. Me ne sono ricordata ieri e il colpo di fulmine è scattato. Sospiri nel buio. Ansimi. Lei sta di profilo davanti alla porta d’ingresso. Guarda in macchina. «Sapete che si prova quando uno che vi piace vi scrive alle due di notte di un martedì notte e chiede se può passare da voi e gli avete fatto intuire che anche voi siete appena rientrate? Quindi dovete alzarvi, bere mezza bottiglia di vino, fare la doccia, radervi tutta, ripescare quella roba di Agent Provocateur, reggicalze e tutto… e aspettare sulla porta finché non sentite il campanello?».

Suonano. Lei sospira e apre. Continua a tirarci in mezzo: «E allora gli aprite la porta, come se aveste quasi dimenticato che stesse arrivando». Apre la porta. Si salutano e si fissano.«”E poi andate subito al sodo». Si baciano. Cambio scena. Fanno l’amore. «Dopo un po’ di su e giù di ordinanza, vi rendete conto che … si sta avvicinando al vostro buco del culo. Ma siete ubriache e si è disturbato a venire fin qui, perciò … lo lasciate fare. È eccitato». Cambio scena. Stessa inquadratura di lei sdraiata di lato sul letto che guarda nell’obiettivo e ci dice: «E poi, il mattino dopo, vi svegliate e lo trovate completamente vestito, seduto sul bordo del letto che vi fissa. Dice che… Stanotte è stata incredibile». Lei a noi:«”che per voi è un’esagerazione ma poi continua, dicendo che…». Lui: «è stato particolarmente speciale perché… a dire il vero, non ero mai riuscito a… a metterlo nel culo a nessun’altra prima d’ora».

Lei a noi, suoi confessori ormai per l’eternità: «a dirla tutta, ha un pene davvero grosso». Lui: “E nonostante sia sempre stata una mia fantasia, non ho… mai trovato nessuna con cui potessi farlo». Ancora lei guardandoci negli occhi, la protagonista: «E poi vi tocca i capelli e vi ringrazia con un sentito e sincero…» Lui: «Grazie». Lei (ennesimamente a noi): «È qualcosa di commovente. Poi vi bacia delicatamente. E dopo se ne va». Il tipo se ne va. «E trascorrere il resto della giornata a chiedervi…».
Nei primi tre minuti della serie c’è già tutto. Vuole sconvolgere e ci riesce. Vuole scandalizzare e ci riesce. Vuole divertire e ci riesce. Ha il respiro tragicomico della vita. Già dal titolo il progetto è chiaro: fleabag, letteralmente sacchetto di pulci, colloquialmente topaia, come aggettivo lurido, sordido. Nelle prime tre puntate la vediamo a letto con quattro o cinque uomini diversi, di cui solo uno un altalenante fidanzato di nome Harry, compositore, che si appunta frasi di dialogo per testi di eventuali canzoni. La struttura, ben congegnata distrae dal fatto che si racconti di una evidente dipendenza da sesso, dovuta a motivi familiari e sentimentali.

Fleabag (nella vita privata nomignolo reale dell’attrice) fa sesso ridendo, terrorizza l’uomo simulando la scena della doccia di Psycho, fa jogging al cimitero, protegge un porcellino d’India ricevuto in eredità, ruba statuette dorate tipo Venere di Milo, è sfrontatamente impavida di fronte alle esperienze, desiderosa di provarle tutte, generosa e morbosa assieme. Coglie la prima mela ma anche l’ultima, quella marcia, non giudica ma reagisce agli eventi e alle parole, naviga nelle emozioni con una barchetta di carta di giornale facile da affondare e, proprio per quello, inaffondabile. Siamo tutti un po’ Fleabag.

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