Premesso che non sempre condivido le sue tesi, segnalo l’articolo di Slavoj Zizek Il sesso è politica, sull’ultimo numero di Internazionale. Vi si parla del conflitto che sta opponendo due musicisti famosi nel mondo arabo e oltre: Mohammed Assaf, cantante pop di Gaza, nominato dall’Autorità palestinese ambasciatore culturale (cfr. il manifesto del 14 aprile scorso), e il rapper, sempre palestinese, Tamer Nafar (coautore e attore del film Junction 48 di Udi Aloni).

Il primo nel marzo scorso ha dichiarato in una intervista che, per rispetto alla tradizione, non avrebbe permesso alla sorella di cantare in pubblico.

Il secondo gli ha indirizzato una lettera aperta in cui afferma che se qualunque altro artista pop avesse detto la stessa cosa avrebbe protestato, ma «poiché a dire queste parole è Assaf, la nostra Cenerentola di Gaza, sono arrabbiato, ma soprattutto mi sento ferito». Così come tutti i palestinesi – continua la lettera – in ogni parte del mondo si sono uniti a Assaf per sostenere lui e la causa comune, «chiediamo a Assaf di unirsi a noi nelle stesse strade per incoraggiare le ragazze dello Yemen, di Gaza, del Marocco, della Giordania e di Lod, quelle ragazze che sognano di cantare, danzare, scrivere ed esibirsi nel programma Arab idol. Come palestinesi, dobbiamo combattere l’apartheid israeliano e l’apartheid di genere…». E conclude: «Vuoi parlare di tradizioni? Un tempo ero un ragazzino arrabbiato nei ghetti di Lod. Non riuscivo a calmarmi finché mamma non mi cantava una canzone di Fairuz. Questa è la tradizione che voglio conservare gelosamente! Perciò, mie care sorelle arabe, cantate più forte possibile, spezzate le frontiere per farci calmare. Libertà per tutti o libertà per nessuno!».

Zizek racconta ancora che alcune canzoni di Tamer Nafar criticano la tradizione del «delitto d’onore» (do you remember?) di cui sono vittime le ragazze palestinesi, e che per questo è stato contestato in America da studenti antisionisti che lo hanno accusato di avvallare così la propaganda anti palestinese.

Questo racconto è entrato in risonanza con quanto ho ascoltato da amiche femministe che si occupano dell’accoglienza di rifugiati e immigrati, tra i quali accadono anche episodi di violenza contro le donne: spesso si preferisce non parlarne per non aggravare i preconcetti e l’ostilità – poi strumentalizzata da certa politica – contro persone che già vivono un dramma tremendo.

Forse si può comprendere l’attenzione nell’aprire conflitti o fare denunce che potrebbero produrre nei fatti un peggioramento delle vite di tutti, comprese quelle delle donne vittime. E del resto quale autorità morale ha chi sta in Occidente per criticare i comportamenti di chi vive in culture che lo stesso Occidente opprime politicamente e culturalmente, anche provocando guerre e violenze proprio in nome delle libertà civili e sessuali del mondo “sviluppato” e democratico?

Ma tali interrogativi non mi convincono nello stesso momento in cui li formulo. In questo caso sono d’accordo con la tesi di Zizek: «L’imposizione di valori occidentali come i diritti umani e il rispetto per le culture diverse nonostante i loro orrori sono due facce della stessa mistificazione ideologica».

Proprio se non abbiamo la coscienza a posto per le tante battaglie di libertà ancora da fare a casa nostra, e se siamo esterrefatti di fronte all’incapacità occidentale di affrontare decentemente drammi come il conflitto tra israeliani e palestinesi, o l’immigrazione verso l’Europa, dobbiamo ascoltare il rap liberatorio di Tamer Nafar e cercare relazioni con uomini come lui.