«Les dieux s’en vont, les enragés restent». Gli dei se ne vanno, urlavano nelle strade del Maggio, gli arrabbiati restano. «Lottavano così come si gioca, i cuccioli del maggio, era normale, loro avevano tempo, anche per la galera, ad aspettarli fuori, c’era la primavera». E ancora «Sous le pavè, le sable», sotto i sampietrini, la spiaggia, dicevano pure. Il Sessantotto era visionario, la fantasia al potere, l’immaginazione al potere.

Non c’è mai stato un momento nel quale una consistente fetta di gioventù abbia sognato, immaginato ad occhi aperti un’altra realtà. Le fiamme dei «cocktail molotov» che ardevano le macchine sui boulevard rivelavano il desiderio irruente ed irrefrenabile di una utopia da viversi nell’istante ed imminente presente.
Già allora, passata la tempesta dello scontro e della rabbia, una buona parte, tra le tante derive – gruppettara, terroristica, della tossicodipendenza, dell’impiego nella pubblicità e nell’industria culturale – in quella Francia del «Ce n’est qu’un début, le combat continue» una cospicua e preveggente comunità prese la via delle colline e delle montagne.

In nome del «vulem vivre o’ pais» a migliaia ripresero la via di casa.

Nelle campagne, nei campi dell’Occitania, della Bretagna, a migliaia giunsero con le idee del Maggio nel cuore. E nacque la lotta ecologista. L’agricoltura biologica, un regionalismo democratico che innalzava le colorate bandiere occitane o bretoni in nome della realizzazione dell’utopia presso fattorie occupate o terreni minacciati di esproprio dallo stato per far posto a poligoni militari. E fu l’epopea del Larzac, fu la grande battaglia antinucleare.

In Giappone furono i mesi di scontri furibondi a Narita, studenti dello Zengakuren alleati dei contadini, decine di morti, scontri furibondi. In Germania, i primordi del movimento antinucleare che sarà fortissimo. In Italia, a Pratobello, in Sardegna, la battaglia, come quella sul Larzac, vinta dai pastori contro l’esercito. Il Sessantotto, e gli anni immediatamente seguenti, ha avuto una forte componente di ritorno alla terra. L’immaginazione ha percorso non solamente strade urbane. Soprattutto in Francia ha dato vita ad un pensiero ecologista radicale che, con gli anni, darà vita a realtà come la Conf’, la Confédération Paysanne, il sindacato agricolo di base che è arrivato ad avere cinquantamila iscritti e che ha espresso figure di ribelli come Josè Bovè.

Oltralpe si capirebbero subito, a cinquant’anni di distanza, parole d’ordine mutate come «Les dieux s’en vont, les jardiniers restent» «Sous le pavé, la terre». Gli dei se ne vanno, i giardinieri restano. Sotto il pavé, la terra. C’è una bella immagine di Banksy, un ragazzo, cappellino con la visiera rivolta all’indietro, volto parzialmente coperto, scaglia contro invisibili forze dell’ordine, un mazzo di fiori. «Sparate bombe di semi verso le nuvole, faremo fiorire il cielo!».

Se in Francia hanno la Conf’, combattivo sindacato dei contadini e dei pastori, in Italia abbiamo le decine, centinaia di realtà degli orti condivisi di base. Zappatori senza padroni. Spiazzi liberi. Terre di Palike, dalla Sicilia all’Umbria a Venezia, sono sorti collettivi di coltivatori urbani.
Anche questi, in Italia, capirebbero al volo un gioco di parole come «Il Sessant’orto è risorto». L’immaginazione al podere Boccioli qui, boccioli là, fioriremo le città. In questi anni è maturata potente la convinzione che la liberazione passi dalla terra, ed i movimenti più tenaci sono proprio quelli – la Val di Susa docet – sorti in difesa della terra. Claudio Abba, precipitato da un traliccio, ribelle valsusino, è un contadino.

Tutte le lotte nel mondo in difesa della terra sono la continuazione e l’eredità migliore di un Sessantotto mai domo.
Fukushima, in Giappone, la sua area, era proprio la terra degli alternativi che a Fukushima avevano insediato uno dei poli più produttivi del biologico giapponese.

Il 2018, cinquant’anni dopo. Siamo ancora tutti qui, quelli che erano piccoli ed hanno ascoltato le storie dai fratelli maggiori, quelli che erano nelle strade, quelli che sono scesi dopo, fino al Settantasette. Le generazioni si susseguono e tutte abbisognano dell’Utopia. La nostra Genova del 2001, se «Un altro mondo è possibile», questo mondo non potrà che passare dagli orti. Il cambiamento climatico in atto lo richiede. Il mutamento di paradigma si impone. Le città devono cambiare. Se «il male di vivere è un male urbano» (Montale) non c’è che da portare la campagna in città. E la campagna in città ci arriva carica di semi, carica di vanghe, di zappe, di rastrelli, carica di una visione nuova della realtà.
Una realtà che, se si vuole tenere fede alla consapevolezza sessantottarda della necessità di rovesciare il dominio, deve necessariamente liberare la terra, liberandosi così dal dominio sulle terre.

La terra non come divinità da contemplare ma come paradiso da far fiorire.

Qui ed ora. Nei mille orti condivisi, nelle mille realtà di terre liberate dalla mafia e dalla camorra. Una festa, questa per i cinquant’anni dal Sessantotto, che non si voglia nostalgica, ha bisogno di mettere radici. Lungi dall’essere una generazione di vagabondi o di sradicati, è nella concretezza di un abitare diverso sulle colline e sulle montagne in abbandono, che una nuova generazione ribelle, resiliente, può e deve raccogliere il frutto succoso perché senza veleni di quel Maggio.

E sono ribelli ed alternativi come Santiago Maldonado, giovane compagno argentino, gli eroi della Terra. La comunità Mapuche è composta da pastori ed agricoltori e tra loro, una rete attiva di salvatori di semi. «Credevano di uccidermi e mi seppellirono, ma essi non sapevano che io ero un seme», questo il motto della loro associazione Wallmapu, crediamo che sia un viatico potente, una benedizione beneaugurante di fertilità, un lievito potente per tutte le lotte per la terra e per la libertà nel mondo. Il Chiapas zapatista, il Burkina Faso di Thomas Sankara, ovunque nel mondo comunità si ribellino e coltivino un pensiero ed una terra in modo differente, là spuntano fiori sotto il pavè.

Il Sessantotto è vivo. Cinquant’anni sono passati. Stiamo ricominciando, non abbiamo mai smesso, la lotta per la terra, la lotta per la libertà, comincia ora. Saranno fiori selvatici,saranno papaveri rossi, saranno fiordalisi, torneranno i prati. Saranno giovani selvatici, combattivi, saranno giovani innamorati. Nessuna nostalgia. Non c’è spazio per il rimpianto, solo la convinzione, radicata, che per fare del Sessant’otto un Sessant’orto ci voglia solo costanza, un minimo di cmpetenza e tanta fertile immaginazione, tanta sterminata indomita fantasia.