Il numero doppio del francese Jazz Magazine (dicembre 2014/gennaio 2015) rappresenta un evento editoriale. La rivista (che ha assorbito alcuni anni fa la testata concorrente «jazzman») compie sessant’anni: la prima uscita risale, infatti, al 1 dicembre 1954 con un assorto Lionel Hampton in copertina. L’anniversario viene festeggiato con un numero di 162 pagine fitto di articoli ricostruttivi e di foto cariche di storia.
Ma il directeur de la publication Édouard Rencker rilancia annunciando nel suo editoriale una trasformazione della rivista già dal numero di febbraio. Presi in esame i desiderata dei lettori, si annuncia un «magazine (…) encore plus élégant, serein, raffiné, intelligent», affiancato da una versione digitale per tablet.

In apertura si intervista Daniel Filipacchi che con Frank Ténot nel 1955 rilevò Jazz Magazine: l’anno precedente era stato creato da Nicole ed Eddie Barclay. Fu proprio Nicole Vandenbusche (morta nel 1970) a spingere – tra la fine degli anni ’40 ed i primi ’50 – il marito alla creazione dell’etichetta Barclay (importante per il jazz e la musica in genere in Francia ed in Europa), ad importare nel 1951 la tecnica innovativa del 33 giri e a creare un nuova rivista di settore in concorrenza con la veterana Jazz Hot.

Nello stesso anno in cui Filipacchi e Ténot rilevarono Jazz Magazine i due diedero vita alla trasmissione radiofonica a diffusione nazionale «Pour ceux qui aiment le jazz» (in vita fino al 1971, poi trasformata in «Jazz à minuit»): dalla radiofonia Filipacchi ricaverà le risorse tecniche e finanziarie che gli consentiranno di costruire un vero impero editoriale con riviste tra cui Salut les copains (1962), Lui (1963), le edizioni francesi di Playboy e Penthouse, Photo, Pariscope.
Lo «Spécial 60 ans» contiene, tra l’altro, un profilo del suo socio Ténot, ricordi legati alla rivista dei principali musicisti transalpini (Martial Solal, Henri Texier, Berard Lubat, lo svizzero Daniel Humair Louis Sclavis, Joëlle Léandre…) intercalati ad una selezione delle 668 copertine pubblicate, un «Portfolio Blue Note» ricco di foto in bianco e nero, due interviste a manager jazzfan (Gérard Brémond e Nonce Paolini) ed alcune «perle» dall’archivio di JazzMag. C’è un’intervista a Monk da parte di uno psicanalista (1965), un paio di «blindfold test» a Stan Getz (1971) e Keith Jarrett (1970).

Un percorso nel percorso quello fotografico ed agli scatti la rivista francese ha sempre riservato una particolare e qualificante attenzione, come testimoniano quelli (Chet Baker, Mingus, M.Davis, C.Hawkins…) intercalati alla domanda «pourquoi j’aime le jazz» cui rispondono tutti i redattori del periodico. Lunga vita a Jazz Magazine.

luigi.onori@alice.it