Semplificare, tagliare i tempi delle procedure e delle valutazioni, qualcosa di buono ne verrà fuori. Ancora una volta il dibattito politico arriva all’appuntamento con l’ennesimo Decreto semplificazioni senza un’idea di cosa si voglia davvero ottenere con interventi che vanno dai cantieri pubblici alle attività d’impresa. Figuriamoci, il nostro Paese soffre una burocrazia incredibilmente invadente.

Una burocrazia con procedure incerte per ogni tipo di intervento, e ad essere oggi più penalizzati sono proprio gli interventi di cui avremmo davvero bisogno. Come quelli per produrre energia pulita o per riqualificare gli edifici in modo da ridurre le bollette delle famiglie, dove invece di trovare le porte spalancate ci si deve affidare a bravi avvocati e pagare tasse e contributi locali. Perfino Macron, che pure non ha un’impronta ambientalista o partecipativa rispetto alle decisioni, si è convinto che in Francia occorra aprire forme di confronto inedite e trasparenti con cittadini, comunità, soggetti portatori di interesse nella direzione di accelerare la transizione energetica. Da noi no, per cui le bozze del decreto viaggiano nei corridoi dei ministeri o in colloqui riservati in video (una novità portata dal Covid).

Alcune proposte che circolano hanno già scatenato polemiche – ad esempio cosa c’entra una sanatoria con le semplificazioni -, altre risultano inutili, altre invece appaiono utilissime se l’obiettivo è realizzare alcune grandi interventi. Qui sta il primo problema, perché se il Governo non ha un’idea di cosa voglia spingere per affrontare la drammatica crisi economica e quali problemi risolvere, poi uno si può anche convincere di cose false. Come il fallimento del codice appalti che ha prodotto lo stop dei bandi di gara. Tante cose possono essere migliorate, ma quella tesi è semplicemente non vera come dimostrano i dati di di Fillea-Cgil.

Nella confusione ci si può perfino far convincere che la priorità energetica sia la realizzazione di nuove centrali a gas, per chiudere quelle a carbone, tanto il futuro appartiene alle rinnovabili. Se queste sono le priorità allora il «modello Genova» per i cantieri e una Valutazione ambientale semplificata vanno benissimo. Ma siamo sicuri che siano questi i cantieri che possono creare lavoro e aiutare le persone a vivere meglio nella propria casa e nel proprio quartiere?

Un’alternativa esiste, ed è quella di puntare ad aprire milioni di cantieri in ogni Comune e su cui costruire l’ossatura della proposta italiana per il green deal da finanziare con risorse europee. Se questa è la direzione di marcia, allora sono tante le semplificazioni che servono ad esempio nei cantieri delle scuole e per l’efficienza energetica fermi malgrado le risorse siano stanziate. Ma sono urgenti anche per risolvere i problemi che incontrano gli impianti da rinnovabili, come la cronaca delle ultime settimane ha confermato in modo emblematico in due vicende dagli evidenti contorni politici.

Il Consiglio dei Ministri ha bocciato, su proposta del Ministro dei beni culturali Franceschini, due progetti di impianti fotovoltaici nel Lazio che si volevano realizzare senza incentivi in aree agricole. Invece sabato con un tweet il Governatore dell’Emilia Bonaccini ha bocciato un impianto eolico offshore proposto ad alcuni chilometri dalla costa di Rimini perché, a detta sua, incompatibile con il turismo e i valori della Romagna. Via social network ha forse voluto anticipare il Ministero dei Beni culturali che fino ad oggi ha bocciato tutti i progetti eolici in mare, perfino alcuni a una tale distanza che risultavano difficili da vedere o uno nel porto di Taranto di fronte all’Ilva.

Per chiarezza, su queste tipologie di impianti si possono avere idee diverse, ma chi è al Governo e sostiene di essere impegnato per fermare la crisi climatica ha il dovere di fissare delle regole semplici per chiarire cosa si può fare e dove, come avviene negli altri Paesi europei dove le rinnovabili crescono davvero. Forse prima di semplificare il Governo dovrebbe chiarirsi le idee, altrimenti il messaggio che arriva al Paese è contraddittorio su un tema strategico e anche, quanto mai in passato, politico.

L’impegno su queste sfide è infatti tra i pochi che vede concordi Pd e 5stelle e alla nascita del secondo Governo Conte si rincorrevano promesse e impegni da parte di Zingaretti e Di Maio. Se in questi mesi le scelte non sono state all’altezza ora c’è un’importante prova d’appello, dove i temi ambientali possono diventare la chiave di rilancio economico del Paese. Passa per il piano che dovrà spiegare come si vogliono impegnare le risorse che l’Europa ha finalmente messo in campo, chiudendo con la stagione dell’austerità. Dobbiamo augurarci che si apra un confronto sulle idee e le priorità, anche sulle semplificazioni, per fare qualcosa di davvero utile al Paese e ai suoi cittadini.

L’autore è vicepresidente di Legambiente