Sarà la volta buona? Oggi la legge di bilancio dovrebbe arrivare alla Camera, sfiorando il mese di ritardo sulla data istituzionalmente prevista, il 20 ottobre. La barca arriva, ma sfondata da tutte le parti. Prima di tutto perché i 38 miliardi previsti non bastano e proprio la ricerca di un impossibile equilibrismo spiega l’immenso ritardo. Uno scostamento di bilancio cospicuo è già certo, tra i 20 e i 25 miliardi. Arriverà in tempo per coprire il classico maxiemendamento, che raccoglierà le proposte e gli emendamenti dell’aula di Montecitorio. Così si potrà anche dire che il parlamento ha finalmente un suo ruolo.

LO SCOSTAMENTO, in questo modo, impatterebbe solo sul bilancio del 2021 e ci sarebbe tempo per votarlo. All’inizio si prevedeva infatti di portarlo in aula verso la metà di dicembre. Solo che di mezzo ci sono i due dl Ristori, pari a 5,8 miliardi il primo e a 2,4 il secondo, ai quali se ne aggiungerà presto un terzo, che potrebbe costare forse anche 6-7 miliardi.

Quei soldi servono subito, per «ristorare» le categorie colpite dalle ultime chiusure, dunque sono a carico del bilancio 2020. Non ci sono. Da giorni i tecnici fanno i salti mortali per far quadrare i conti senza riuscirci. Dunque serviranno due scostamenti di bilancio, uno per il 2020, l’altro per il 2021.

Vuol dire due voti a rischio: serve la maggioranza assoluta e al Senato è sempre in forse. Vuol dire, con due scostamenti uno via l’altro, anche esporsi a un certo danno d’immagine, pericoloso sui mercati più che agli occhi ormai velati da totale confusione degli italiani.

È DUNQUE SPUNTATA una trovata utile. Un solo scostamento di bilancio, diviso però in una tranche che ricadrebbe sul 2020 e una per il 2021, oppure due voti distinti, però nella stessa seduta uno dopo l’altro. In questo caso tutto andrebbe anticipato alla settimana prossima, intorno al 25 novembre, o forse nei primissimi giorni di quella seguente. La Ragioneria dello Stato non è convinta.

Sarebbe anzi contraria all’ipotesi dello scostamento unico diviso per tranche, ma una soluzione il governo la troverà e anche il rischio di una deflagrante bocciatura in aula è limitatissimo. Non solo perché un accordo con Fi, se non con tutta la destra, è a portata di mano ma anche perché quei senatori che decidono di volta in volta se appoggiare o meno il governo, ormai parecchi, non si sottrarranno a un voto da cui dipende la sorte di moltissime persone già nell’immediato. Certo i conti e i saldi dovranno cambiare. Quel che il governo voleva evitare.

PERÒ NON È L’UNICA falla in una manovra che era già superata dai fatti al momento della sua approvazione «con riserva», il 18 ottobre. Dei 38 miliardi di copertura, 15 dovrebbero arrivare dal Recovery Fund. Che però è bloccato a Bruxelles dal veto posto da Ungheria e Polonia.

Il commissario al Bilancio Hahn suona l’allarme: «Se il Recovery fallisse l’impatto sarebbe devastante». Il ministro per gli Affari europei della Germania Roth giura che la presidenza tedesca «lavorerà 24 ore su 24 per 7 giorni alla settimana» per trovare una soluzione. Ma al momento il muro contro muro prosegue. Sul rispetto dello Stato di diritto né i due Stati accusati di violarne le regole né il parlamento e la Commissione fanno un solo passo indietro: «Gli Stati che si sono schierati contro il meccanismo sullo stato di diritto devono sapere che anche i loro cittadini dovranno pagare il conto», ammonisce lo stesso Roth.

NESSUNO CREDE che il Recovery possa davvero essere affondato dal doppio veto: per l’Europa sarebbe un colpo mortale. Ma il rallentamento sarà inevitabile e questo per l’Italia è un problema enorme. In parte il governo spera di stemperarlo ricorrendo all’anticipo, che dovrebbe comunque essere disponibile dai primi mesi dell’anno prossimo. In parte spera nel sostegno europeo. Che ci sarà: arriveranno prestissimo altri 6,5 miliardi per le casse integrazione dal Sure.

Il problema è che buona parte del sostegno europeo passa per il Mes, rimesso in campo non solo per l’Italia ma per buona parte dell’Europa dal blocco del Recovery. «Gli elementi di supporto per la crisi non cambieranno», avverte il direttore esecutivo del Mes Regling. Per l’Italia sarà un ulteriore problema. Di Maio è tassativo: «Finalmente è un capitolo chiuso. Anche Sassoli dice che va riformato». Bisognerà vedere se il Pd e Iv, dopo aver congelato la faccenda in attesa degli Stati generali M5S, saranno d’accordo. Non sembra: «Se è un capitolo chiuso lo decide il parlamento, non Di Maio».