In azione non sono soltanto i servizi segreti di Israele ma anche quelli dell’Autorità nazionale palestinese per impedire che l’“Intifada di Gerusalemme” possa propagarsi in Cisgiordania. Negli ultimi giorni il mukhabarat avrebbe arrestato una trentina di palestinesi, in buona parte simpatizzanti di Hamas, su ordine del presidente Abu Mazen. E i servizi palestinesi avrebbero collaborato attivamente con quelli israeliani alle operazioni che nelle ultime settimane hanno portato all’arresto di una novantina di membri del movimento islamico. Militanti legati, a quanto pare, al gruppo guidato da Salah Aruri, un leader di Hamas che, secondo gli israeliani, dalla Turchia avrebbe progettato lo scorso giugno il sequestro dei tre giovani coloni israeliani (poi trovati uccisi non lontano da Hebron) e che ad agosto ha pianificato un attacco con un lanciarazzi verso l’abitazione del ministro degli esteri Lieberman nella colonia di Nokdim, a sud di Betlemme.

 

Sono indiscrezioni che rilanciano i giornali israeliani – i media palestinesi tacciono – a conferma che la cooperazione di sicurezza tra Israele e l’Anp prosegue nonostante le tensioni di questi giorni e le accuse di “fomentare il terrorismo” che il premier Netanyahu e alcuni dei suoi ministri rivolgono ad Abu Mazen. Attaccando sistematicamente il presidente dell’Anp e cavalcando l’onda dello sdegno per l’attentato palestinese del 18 novembre alla sinagoga di Har Nof, in cui sono stati uccisi quattro rabbini e un agente di polizia, i partiti più radicali della coalizione di governo raccolgono nuovi consensi. Un sondaggio pubblicato dal sito web Walla rivela che, se le elezioni politiche si svolgessero adesso, i tre principali partiti di destra (Likud, Casa ebraica e Israel Beitenu) otterrebbero una maggioranza di 63 seggi sui 120 della Knesset. Precipitano invece i partiti centristi e il partito laburista alla opposizione. E’ un ulteriore spostamento a destra dell’opinione pubblica israeliana che rafforza la base di consenso della linea dura che Netanyahu ha proclamato dopo l’attentato ad Har Nof. «Il presidente palestinese – ci spiegava ieri un militante di Fatah che ha chiesto l’anonimato – non ha mai avuto l’intenzione, a dispetto delle voci circolate, di fermare la collaborazione con le forze occupanti (israeliane) contro Hamas e altre formazioni dell’opposizione». Collaborazione andata avanti anche ieri quando, in particolare ad Hebron, i reparti speciali della polizia dell’Anp si sono impegnati, sia pure con risultati modesti, per bloccare le centinaia di giovani che lanciavano sassi e bottiglie verso le postazioni dell’esercito israeliano nella giornata di “collera” proclamata dal movimento islamico per il venerdì delle preghiere islamiche. Scontri sono avvenuti anche al posto di blocco di Qalandiya, a Nablus e a ovest di Ramallah. A Gerusalemme Est le preghiere sulla Spianata delle moschee, affollata ieri da circa 40mila fedeli, si sono concluse senza incidenti con la polizia. Nel pomeriggio due coloni israeliani, studenti del collegio rabbino nell’insediamento di Beit Orot, sul Monte degli Ulivi, sono stati attaccati e feriti con tavole di legno e con le di pietre da alcuni palestinesi.

 

Il governo israeliano intanto non cede alla pressioni esterne per un approccio più politico e meno repressivo all’“Intifada di Gerusalemme”. E ha perciò fatto sapere che continueranno le demolizioni delle case degli attentatori palestinesi, in risposta alla presa di posizione di alcuni paesi europei. Gli ambasciatori di Italia, Germania, Francia, Gran Bretagna e Spagna due giorni fa avevano manifestato “perplessità” sulle demolizioni delle case definendole controproducenti.