Monica Ferrando: «Nel 1552 un ragazzo di diciassette anni si interrogava sul perché gli esseri umani preferissero rinunciare alla libertà per servire un capo: nonostante il tentativo di screditarlo, il Discorso sulla servitù volontaria grazie a Montaigne, a Tolstoj che lo cita in Guerra e rivoluzione, arriverà fino a noi, che ancora ne abbiamo tanto bisogno. La tua riflessione, due settimane fa, sul fatto che la working class voti negli Usa per chi mira a distruggerla alla stregua di un materiale in esubero, in un disprezzo di casta che è frutto del potere che è essa stessa a regalargli con la sua ‘democratica’ sottomissione, traeva spunto da un allarmato articolo del NewYorkTimes. Per i due anni precedenti l’elezione del biondo bellinbusto ricco, bianco e protestante a presidente, il quotidiano newyorkese non aveva fatto che parlarne. Ignaro del principio: parlane bene o male, basta che ne parli? Mai come oggi il potere oligarchico, usando l’immagine mediatica, può affondare i suoi tentacoli nel profondo di ciascuno, in cerca di desiderio. Se qui esso trova nient’altro che un’immagine che gli corrisponde, non farà che prendere ciò che è suo. A quel punto, come scrive Etienne de La Boetie, per i sedotti servi volontari non vi sarà più nulla di proprio.

La produzione di modelli atti a conformare il desiderio da parte della tecnologia dell’immagine socializzata viene alla luce in una parola mostruosa come ‘influenzatore’, accolta senza fiatare dal linguaggio comune, come se il contagio del desiderio fosse cosa da nulla e vi fosse separazione tra vita e politica. Il virus del desiderio conforme, una volta entrato nell’immaginazione, farà sembrare ovvio l’ingresso nel recinto predisposto dal potere, in cui desiderio significa solo ormai bisogno indotto di un capo, che genera paura e identificazione insieme, da cui nessuno, come dalla tana del leone malato della favola, può più uscire».

Sarantis Thanopulos: «Nella sottomissione al potere del più forte, accanto alla paura di essere uccisi (Hegel) gioca un ruolo altrettanto importante e complementare la paura di uccidere, dare la morte. La paura della violenza (e della sua forza alienante), sia nell’atto di subirla sia nell’atto di imporla, rende più vulnerabili i più legati all’amore e alla vita, se le condizioni della convivenza comune sono regolate dalla forza.

La democrazia, risposta politica alla violenza, non è venuta a capo del problema che La Boetie ha individuato con intuizione, in gran parte, anticipatrice: la sottomissione al tiranno non per la sproporzione dei rapporti di forza, o per motivi etici (di scrupolo nei confronti della violenza), ma per consenso volontario, per una scelta apparentemente convinta e libera, seppure psicologicamente corrotta.

La difficoltà della democrazia ad affrontare il consenso all’autoritarismo e alla tirannia che rispetta formalmente le sue regole, svuotandole nella sostanza, è la questione politica più importante della nostra epoca. Non si può risolvere con la buona volontà, ma con la consapevolezza che ciò che alimenta la servitù volontaria è la concezione della vita come soddisfazione dei bisogni materiali. La democrazia cresce dove il desiderio non si confonde con il bisogno, il cui appagamento può essere garantito dai regimi totalitari.

È vero che la pazzia che alimenta questi regimi conduce prima o poi alla catastrofe, ma la logica legata al bisogno (e alla pura cessazione delle tensioni) è dettata dall’urgenza (prevalentemente psicologica) e non è lungimirante. Quando si è immersi in essa si vive nel dominio di una domanda di sicurezza (evitare le trasformazioni) e l’avvenire si appiattisce sul presente. Il consenso “libero” alla tirannia nasce dalla volontà cimiteriale di vivere senza fatica e difficoltà, senza dolore e senza il piacere profondo e complesso che ama l’imprevedibilità e le sorprese».