Domenica si vota per eleggere il nuovo parlamento europeo. Arriviamo a questo importante momento dopo una campagna elettorale strana dove di Europa si è parlato poco, cercando di relegare queste elezioni a un appuntamento minore, dimenticando l’effetto dirompente che esse hanno sulle politiche comunitarie del prossimo quinquennio. In Italia ha prevalso la politica interna con i due partiti di governo, in perenne campagna elettorale, che hanno attirato l’opinione pubblica sui loro contrasti. E l’opposizione non ha saputo (o voluto) riportare al centro del dibattito i veri temi che avrebbero dovuto essere oggetto di confronto.
Tra le scelte strategiche che avremmo voluto trovare al centro del confronto, molte riguardano l’ambiente, l’agricoltura e le politiche alimentari. Argomenti che devono essere una priorità per qualunque governo e che sono strettamente legati tra loro. Le scelte che si faranno in Europa su questi temi interessano ognuno di noi e incidono profondamente sulle nostre vite. Basti pensare al Trattato di liberalizzazione commerciale transatlantico (Ttip), alle autorizzazioni per la coltivazione di Ogm e per l’uso di prodotti chimici (glifosato). O alla Politica agricola comune (Pac) che incide per il 38% sul bilancio dell’Ue (2016), e che non riguarda solo gli agricoltori, ma tutti noi come consumatori e cittadini.

Obiettivo di quest’ultima è sostenere l’agricoltura mediante politiche dei prezzi e dei finanziamenti, tutelando gli interessi economici e sociali degli agricoltori e dei consumatori. È fondamentale ridefinire il contenuto attuale di questi interessi includendo la tutela dell’ambiente, la coesione economica, sociale e territoriale, lo sviluppo sostenibile, la protezione della salute, finalità in fondo già enunciate nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
Il nuovo Parlamento dovrà dare il via libera alla Pac 2021-2027. Il percorso è già stato avviato e le prime mosse non sono incoraggianti. Il principio «tanto al chilo o tanto a ettaro» sembra nuovamente essere quello dominante. Quel principio che ha fatto sì che in passato l’80% dei sussidi sia stato destinato al 20% delle aziende agricole, cioè alle grandi imprese da 100 ettari in su.

L’Europa ha bisogno di passare da una Politica agricola comune a una Politica alimentare comune che prenda in considerazione il sistema nella sua totalità e sia in grado di affrontare le sfide ambientali, sociali ed economiche che abbiamo di fronte. Bisogna consegnare il cibo e le risorse per produrlo (terra, acqua, sementi…) a quelle realtà produttive che hanno a cuore i diritti delle persone e l’ambiente. Basterebbe rispettare un legame logico «soldi pubblici per beni pubblici», cioè che le risorse comuni fossero destinate a obiettivi e beni comuni.

Slow Food ha lanciato un manifesto con cui propone quelli che dovrebbero essere i fondamentali delle future politiche agricole e alimentari europee (www.slowfood.it).

Davanti a noi c’è una grande scommessa che riguarda il futuro del pianeta e delle generazioni che verranno, per questo dobbiamo richiedere a gran voce una Pac dagli orizzonti più ampi che promuova sistemi agroecologici virtuosi, anziché incentivare l’uso della chimica e lo sfruttamento intensivo dei terreni, che riconosca la sovranità alimentare, che aiuti in concreto le categorie svantaggiate, che sostenga i produttori di piccola scala e le produzioni locali, che favorisca processi partecipativi, in modo da garantire percorsi democratici nelle decisioni riguardanti il cibo.

È giunto il momento di dimostrare la volontà dell’Europa di salvaguardare l’interesse generale dei cittadini, degli agricoltori e dell’ambiente. Le sfide che il futuro ci pone di fronte sono molte e si vincono solo con uno stretto dialogo e una collaborazione costruttiva a livello europeo. Il mondo globale non prevede l’isolamento.