Serve la nomina di un Commissario: solo così possiamo cambiare passo nello sviluppo delle energie rinnovabili in Italia, che rappresentano l’unica soluzione strutturale per affrancarsi davvero dalla dipendenza delle forniture di gas. In questo momento, paesi come Algeria e Libia, con l’influenza di Mosca nel territorio, non mi sembrano fornitori sicuri». Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura, la principale associazione del mondo elettrico italiano (500 imprese, 70% della produzione di energia) chiede al governo misure straordinarie di semplificazione dei procedimenti autorizzativi per fare decollare le fonti rinnovabili.

Non è la prima volta che il settore sollecita di sbrogliare la matassa burocratica che da quasi 10 anni limita lo sviluppo dei grandi impianti fotovoltaici, eolici, idroelettrici e a biomasse, ma quest’ultima richiesta suona come una mozione di sfiducia al ministro della Transizione ecologica.

Elettricità Futura ha chiesto al governo di autorizzare entro giugno 60 GW di nuovi impianti rinnovabili da realizzare entro 3 anni. Di questi, 15 GW si potrebbero realizzare già nel primo anno. È più di quanto chiedono gli ambientalisti e 15 volte più della media degli ultimi anni. Si tratta di una provocazione?

No, non è una provocazione. Se 10 anni fa siamo riusciti a installare 10 GW in un anno, oggi possiamo farne il doppio con le tecnologie di cui disponiamo, non è un problema tecnico. È una quantità di potenza che ci permetterebbe in 3 anni di ridurre di 15 miliardi di metri cubi le importazioni di gas, circa il 20% in meno. Se poi proiettiamo nei successivi 3 anni altri 60 GW, significa che prima del 2030 riusciremmo a portarci molto avanti nei target di decarbonizzazione e molto avanti nell’indipendenza energetica che, come vediamo in questo periodo, non è solo energetica.

Per i primi 15 GW, quali progetti siete pronti a realizzare e dove?

In questa fase è necessario ragionare su criteri di distribuzione geografica, di ottimizzazione rispetto alla presenza della rete di trasmissione e al tipo fonte rinnovabile presente sul territorio. Ragionevolmente, dovremo farli un po’ dappertutto.

La rete di trasmissione è pronta per i grandi impianti? In più documenti Terna ha scritto nei mesi scorsi che le richieste di connessione alla rete di alta tensione hanno una distribuzione sia in termini geografici che di livello di tensione diverse da quelle configurate nel Pniec (Piano nazionale energia e clima). Meno del 5% delle richieste è localizzato tra il Nord e il Centro-Nord. Significa che non ci siamo con la pianificazione?

Certamente il Pniec va aggiornato in base agli obiettivi del Fit for 55 (il pacchetto di misure europee per ridurre del 55% le emissioni). Ora servirebbe un Fit for independence, per prepararci all’indipendenza energetica, che del resto coincide con la de-carbonizzazione. In termini di pianificazione, se ci mettiamo a lavorare, ci vuole meno di un mese per guardare le domande e decidere con quali criteri distribuire gli impianti. Prima quelli più facili da allacciare alla rete, poi quelli coerenti con il piano di sviluppo di Terna. In prima battuta saranno al Sud, dove c’è maggiore presenza di sole e vento.

Quale dovrà essere il ruolo delle Regioni, visto che l’energia è materia di legislazione concorrente tra Stato e Regioni?

Secondo la direttiva RED II, entro dicembre 2022 le Regioni dovranno definire le aree idonee ad ospitare i nuovi impianti rinnovabili, scegliendole in base ai criteri che il Mite pubblicherà entro giugno. Se il Mite anticipasse a marzo i criteri daremmo più tempo alle Regioni per la definizione delle aree sul territorio. Va detto che le aree non-idonee non sono una cosa così misteriosa. Non vorrei che si perdesse un altro anno, con il gas che oggi costa 12 volte in più rispetto alla media degli ultimi 5 anni. A questi prezzi la nostra economia non può resistere molto e nemmeno le famiglie. Dobbiamo muoverci per trovare soluzioni. Senza nulla togliere alla ricerca di fornitori alternativi al gas russo.

Come si spiega l’immobilismo sulle autorizzazioni al solare e all’eolico, ma anche sulle proroghe alle concessioni per l’idroelettrico o il blocco ai nuovi impianti di biogas? Che sia solo una questione burocratica non lo crede più nessuno.

Sono d’accordo. Se fosse solo una questione burocratica oggi l’avremmo già risolta, mentre c’è di fondo una questione di scelta e di preferenza verso il gas. Più gas possibile e un po’ di rinnovabili, mentre il paradigma dovrebbe essere invertito.

C’è una barriera culturale verso le fonti rinnovabili considerate ancora ancillari o residuali, che esistono solo nella mente dei radical chic?

Che le rinnovabili non siano residuali lo dimostriamo con i numeri. Alla conferenza stampa che abbiamo organizzato per avanzare la nostra proposta hanno partecipato Enel, A2a, Erg, Cva in rappresentanza di 500 aziende. Abbiamo voluto lanciare un messaggio molto forte non di organizzazioni volte all’ideologia, ma di un’associazione di imprese, tra le maggiori del paese, pronte ad assumersi l’impegno della transizione energetica. Consapevoli che è anche un’occasione per rafforzare la filiera produttiva italiana dei pannelli solari e della componentistica degli impianti fotovoltaici ed eolici, tra le migliori al mondo. Una filiera che avrebbe una prospettiva per i prossimi 20 anni, che non dovrebbe procedere a singhiozzo come è stato fino ad ora, con la possibilità di investire anche in ricerca e offrire posti di lavoro qualificati.

L’installazione di 60 GW di potenza di impianti fotovoltaici ed eolici può generare un effetto «invasione» di pale e pannelli fotovoltaici nei territori? E come si può evitare?

Se la cabina di regia che noi auspichiamo distribuirà in modo intelligente gli impianti sul territorio, non ci sarà questo problema. Il rischio invasione è uno dei falsi miti che circondano le rinnovabili. Per i 60 GW, di cui 48 saranno di fotovoltaico, ammesso di realizzarli tutti su superficie agricola, servirebbe 1,3% della superficie agricola che è oggi abbandonata. Se vogliamo l’energia, e vogliamo pagarla poco, essere sicuri e non inquinare, non ci sono molte alternative. Certo, se concentriamo tutto in 3 regioni, può esserci una reazione di rigetto. Dovrebbero essere le Regioni a pianificare al meglio. Siccome si tratta di una grande opportunità, se fossimo in un mondo normale, le Regioni dovrebbero litigare per accaparrarsi il più possibile questi nuovi impianti, come litigano per accaparrarsi i fondi del PNRR. Si tratta di 85 miliardi di investimenti e 80 mila posti di lavoro.

La condivisione della proprietà con enti locali e cittadini che possono investire con buoni rendimenti, come hanno iniziato a fare Enel Green Power nel Ferrarese e Falck Renewables in Sicilia, può essere una strategia per l’accettabilità degli impianti?

Può essere una strada da guardare con attenzione. Ovviamente questo non esclude la possibilità che ci sia qualcuno che dica sempre di no.

Quale sarà secondo lei il contributo della produzione diffusa di elettricità, quella degli impianti più piccoli, in particolare delle comunità energetiche?

Una generazione distribuita importante nasce dalla capacità di fare le cose insieme a livello condominiale. L’impressione è che con i prezzi attuali dell’energia gli italiani lo capiranno più velocemente di come è stato fino ad ora. È importante che i cittadini sviluppino una nuova cultura dell’energia, servono occhi nuovi per guardare alla transizione energetica.

Ha senso pensare di utilizzare carbone?

A fronte dell’emergenza in atto non è possibile escludere nessuna alternativa, ma nell’ottica di rendere l’Italia indipendente dal punto di vista energetico, né il carbone né le riserve di gas nazionale possono davvero aiutarci. Anche il carbone viene importato per il 40% dalla Russia e il suo prezzo è raddoppiato negli ultimi 6 mesi, raggiungendo i 120 €/t. E comunque, prima di ricorrere al carbone, dovremmo utilizzare il CSS, il combustibile solido secondario ottenuto dal trattamento dei rifiuti, con le caratteristiche per non inquinare, nelle cartiere, nei cementifici e in tutte le applicazioni compatibili.

All’interno di Confindustria come si conciliano le posizioni di chi sostiene il nucleare e chiede di posticipare la transizione energetica, come ha fatto il presidente Bonomi, e chi spinge sulle fonti rinnovabili?

Se ci riferiamo al nucleare di quarta generazione, i primi prototipi su scala semi-industriale non arriveranno prima del 2050. Vorrei vedere poi dove verrebbero realizzati gli impianti nucleari visto che non siamo ancora riusciti a trovare un sito dove smaltire le scorie. Se si tratta solo della ricerca, può andare. I numeri parlano chiaro: il costo del MWh del nucleare è più del doppio rispetto ai nuovi impianti eolici o fotovoltaici. A mio parere per il 2035, al ritmo di 20 GW all’anno, avremo già realizzato l’autosufficienza con le rinnovabili. Quelle sul nucleare sembrano più argomentazioni per dire: andiamo avanti così.