L’accelerazione del virus sta mettendo in affanno la risposta sanitaria messa in campo da governo e Regioni. L’Associazione italiana di Epidemiologia ha scritto una lettera aperta alle istituzioni contenente proposte utili per sbrogliare alcuni nodi. Per esempio come usare i tamponi, che le regioni vorrebbero limitare per il sovraccarico sulle Asl. Oppure quali dati sui focolai raccogliere, per capire quali siano le situazioni a rischio su cui intervenire con nuove misure.

Le proteste di questi giorni suggeriscono che eventuali lockdown e zone rosse decisi dalle Regioni non saranno digeriti facilmente. Per questo è importante che queste decisioni avvengano in un clima di massima trasparenza, spiega al manifesto Stefania Salmaso, direttrice del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute fino al 2015, quando la struttura fu inopinatamente smantellata dall’allora presidente dell’Iss Walter Ricciardi. «Gli ultimi Dpcm affidano anche ai sindaci e alle Regioni la responsabilità decisionale. Per questo le regioni devono dotarsi di indicatori epidemiologici confrontabili tra loro. L’emanazione di nuove misure crea sempre una discussione accesa sull’appropriatezza degli interventi. La nostra lettera esorta a una maggiore trasparenza sui dati, affinché le decisioni prese siano sostenute da elementi oggettivi. Decisioni come queste richiedono un consenso. E il consenso si crea intorno ai dati, non alle opinioni».

Di quali indicatori parliamo?

Molti esistono già, ma dovrebbero essere dettagliati fino al livello dei singoli comuni. Altri invece non sono disponibili: per esempio, quali sono i gruppi di età maggiormente colpiti? La situazione è diversa da regione a regione. In alcune, il contagio è trainato dai giovani. In altre, il contagio si diffonde in modo analogo in tutte le fasce di età. Dipende da fattori sociali come la dimensione dei nuclei familiari o la mobilità delle persone.

Ora arriveranno i test antigenici rapidi eseguiti dai medici di famiglia. Un’opportunità?

I test rapidi sono cruciali, perché la tempestività è decisiva nella strategia di contenimento. Il tampone molecolare è quello più accurato. Ma non tutti vi devono ricorrere: è bene disporre di una batteria di strumenti adatti ai vari contesti. Sappiamo che i test rapidi non sono quelli giusti da usare per la diagnosi, ma possono essere utili.

Molti scienziati segnalano la scarsa accuratezza dei test.

Oltre alla sensibilità o alla specificità (la percentuale di falsi negativi e falsi positivi, ndr) conta anche la probabilità di trovarsi di fronte a un caso positivo, che dipende dalla prevalenza e dal contesto: se un test viene effettuato al pronto soccorso su un soggetto sintomatico la probabilità che sia positivo è più alta che in una palestra. Nel primo caso il test rapido può servire ad accelerare l’isolamento, a patto di confermarlo sempre con un tampone molecolare. Man mano che il rischio cala, diminuisce anche il potere diagnostico del test. Il calo di sensibilità però può essere bilanciato dalla tempestività e dalla ripetibilità del test rapido.

Le Regioni chiedono che i tamponi siano riservati solo ai sintomatici e ai loro conviventi. La convince?

Sarebbe una ritirata intollerabile. Capiamo che il sistema è sotto pressione, e già oggi sono aumentati in percentuale i tamponi effettuati sui sintomatici. Ma non si può decidere a priori di mollare sul monitoraggio. Oggi il 27% dei nuovi casi è stato identificato per screening e un altro 27% per contact tracing. Quella proposta significherebbe ignorare oltre la metà della curva dei casi.

Le vostre proposte meriterebbero attenzione da parte del governo. Non è strano che nel Comitato Tecnico Scientifico che deve guidare la lotta alla pandemia non ci sia un epidemiologo?

Però c’è l’Istituto Superiore di Sanità, che dispone di un gruppo di epidemiologi di alto livello. L’Associazione Italiana Epidemiologia è a disposizione. Alcuni di noi peraltro sono già impegnati a livello regionale. Il presidente Salvatore Scondotto, per esempio, dirige la task force per l’emergenza Covid della Sicilia. Certo, se i dati fossero condivisi ci sarebbero più persone e competenze a analizzare la situazione. Senza dati, si rischia di discutere sulle opinioni e non su fatti oggettivi.