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«Servant of the people», il destino di una nazione scritto in una serie

«Servant of the people», il destino di una nazione scritto in una serieVolodymyr Zelensky in «Servant of the people»

Tv Volodymyr Zelensky è protagonista e ideatore della serie che ha dato il nome al suo partito. Trasmessa in questi giorni su La7, non si può sottovalutare il suo potere trasformativo

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 7 aprile 2022

Sono stati trasmessi su La7 i primi due episodi della serie Servant of the people con protagonista Volodymyr Zelensky, in onda originariamente in Ucraina dal 2015 al 2019. Prima che arrivasse in Italia si è parlato molto di questa avventura televisiva dell’attuale presidente dell’Ucraina e della trama della serie, incentrata sull’improvvisa ascesa alla maggiore carica dello Stato di un «uomo comune», un professore di liceo di Kiev. Immediato il parallelo con la parabola dello stesso Zelensky, eletto nel 2019 con alle spalle, per l’appunto, una carriera da attore e sceneggiatore. È passato però in secondo piano che Servant of the people non sia stata solo interpretata, ma anche scritta, ideata e prodotta da Zelensky. Inoltre, la serie ha dato il nome al partito da lui fondato – in ucraino Sluha narodu, «Servitore del popolo» – che dopo soli due anni di esistenza ha vinto le elezioni parlamentari del 2019. Non si può quindi liquidare con troppa superficialità il potere trasformativo di questa che potrebbe legittimamente sembrare una fiction qualsiasi tra le molte che vengono sfornate. Innanzitutto, c’è da notare che con Servant of the people Volodymyr Zelensky ha cambiato la sua vita, scrivendo autonomamente il proprio copione – la psicologia transazionale potrebbe versare fiumi di inchiostro – e avendo persino l’opportunità di fare le «prove generali».

CERTO, difficilmente l’ex attore avrebbe potuto immaginarsi di ritrovarsi in una situazione come quella attuale, alla guida di una nazione in guerra contro una superpotenza. Ma nonostante questo, il suo caso rientra perfettamente nel classico mantra del «positive thinking»: se ci credi veramente, alla fine lo ottieni. Il secondo elemento su cui soffermarsi è il successo che la serie ha riscosso tra gli ucraini e le ucraine, al punto da convincerli a votare per quel presidente «improvvisato», a dargli fiducia. Già dai primi episodi si può affermare che la serie abbia rappresentato un fenomenale strumento di campagna elettorale. Realizzata nel 2015, dopo gli eventi di Piazza Maidan e i sanguinosi scontri che portarono alla fuga di Janukovyc, il professore protagonista incarna la rabbia nei confronti dell’establishment, della corruzione, dei ricchi oligarchi. Sono queste posizioni a farlo eleggere contro ogni previsione – e sono probabilmente le stesse che fecero vincere Zelensky al ballottaggio con Porošenko, considerato parte di quel mondo. All’inizio della seconda puntata il professore si trova nel dormiveglia insieme a due filosofi della Grecia antica, e reagisce ai loro discorsi sulla «migliore forma di governo» con un evidente richiamo alla Repubblica di Platone. «Il Paese è allo stremo, lui vuole aiutare il suo popolo» afferma uno dei due togati, «ma che governo vorranno? L’oligarchia?», seguono rimostranze da parte del protagonista. «Forse stavano meglio sotto l’Unione Sovietica», il professore prende addirittura per il collo il filosofo. No, è la democrazia «onesta» che gli ucraini desiderano. Certo, il protagonista della serie è senz’altro un «puro», su Zelensky non abbiamo le stesse sicurezze. C’è chi punta il dito sull’oligarca Igor Kolomoisky, molto vicino all’attuale presidente e proprietario della rete su cui andò in onda la fiction in Ucraina. C’è chi sostiene che sia stato lui ad «inventare» Zelensky, che la serie e la successiva campagna siano un suo piano. Un ennesimo cortocircuito tra rappresentazione mediatica e realtà.

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