Tutto sbarrato, le saracinesche di ogni negozio,di ogni banca o ufficio di Ramallah sono chiuse. I ritardatari provvedono a andarci a metà mattinata, mentre farmacie e panetterie restano ancora aperte.

Lo sciopero generale è rispettato, come il richiamo al raduno in Manara Square: «La mobilitazione continua. Non è il prosieguo delle manifestazioni in risposta a Pence o a Trump, è parte naturale della lotta popolare che da anni i villaggi palestinesi portano avanti – ci spiega Maysoun, giovane attivista in piazza – Oggi non siamo molti, forse per la pioggia o forse per una generale frustrazione: noi palestinesi ci sentiamo inascoltati».

«Anche chi non è in piazza però condivide il nostro pensiero – aggiunge Sami, 24 anni – e lavora ogni giorno, nelle scuole, nelle associazioni, sui media per la stessa causa. Alla fine la pessima dichiarazione di Trump ha prodotto qualcosa di positivo: il processo di pace è davvero finito».

Il raduno si conclude, i più anziani se ne vanno sventolando le bandiere, i più giovani gridano: «Tutti a Beit El». Ad aspettarli ci sono camionette israeliane, lacrimogeni e sassaiole.