Non si può dire che abbia perso tempo, il premier di Tripoli Fayez Serraj e dopo due giorni di anticamera ieri è comunque riuscito a essere il primo capo di Stato ricevuto dal presidente del consiglio Giuseppe Conte nel suo secondo mandato. Anche se in questo caso si tratta di un capo di governo e accreditato a livello internazionale ma solo a metà, vista la ritrosia finora dimostrata a accettare di risedersi al tavolo della pace.

Serraj, che è stato insediato dopo gli accordi di Shkirat in Marocco nel 2015 con il pieno appoggio dell’Italia, più che mai ora, a quasi sei mesi dall’inizio dell’offensiva del generale Haftar su Tripoli, cerca di fare di tutto per non perdere la presa sull’alleato italiano, alleanza un tempo fortificata dagli accordi con il ministro Marco Minniti in funzione anti-immigrazione e dai finanziamenti alla sua Guardia Costiera.

È arrivato a Roma addirittura lunedì sera, soltanto poche ore dopo il giuramento dei sottosegretari e quindi il varo definitivo del Conte 2. Si è dunque precipitato, oltretutto sfidando una data segnata con il sangue nei secolari rapporti tra la Libia e l’Italia: il 16 settembre ricorre l’anniversario del martirio di Omar al Mukhtar, lo sceicco simbolo della resistenza libica contro i colonizzatori italiani, mandato a morte dall’Italia di Italo Balbo vicino alla città cirenaica di Tobruk nel 1931.

Per i libici, che si trovano l’effige dell’eroe chiamato «il Leone del deserto»anche sulle banconote da dieci dinari, il 16 settembre è ancora, dopo la fine di Gheddafi che si era in qualche modo appropriato della sua eredità politica, il Giorno dei martiri.

Serraj lo ha celebrato correndo proprio in Italia, pazientemente attendendo l’ingresso sul tappeto rosso di Palazzo Chigi e la stretta di mano con il primo ministro italiano. Non è invece riuscito a farsi invitare alla cena e all’incontro tra Conte e il presidente francese Emmanuel Macron.

Quest’ultimo non vede di buon occhio Serraj, per usare un eufemismo, e anche se ufficialmente non disconosce l’appoggio che ancora gli riconosce l’Onu, ha sempre preferito il suo eterno nemico, il generale pirenaico Kalifa Belqasim Haftar, al quale la Francia non ha negato una partita di missili Javelin, armi pesanti anti-carro di fabbricazione statunitense, in barba all’embargo Onu sulla vendita di armi in Libia.

L’offensiva di Haftar sulla capitale resta impantanata nei sobborghi sud nonostante tutti gli sforzi, anche negli ultimi giorni, di avanzare sul centro città. Gli aerei degli Emirati di cui Haftar si è dotato continuano a bombardare a sud di Sirte e sull’aeroporto di Misurata, ma dopo la perdita dell’avamposto strategico di Gharyam a giugno, ora anche quello di Tarhuna, a 60 km da Tripoli, è in bilico, dopo che sabato scorso un drone turco dell’aviazione di Serraj ha ucciso tre comandanti della milizia più importante alleata ad Haftar: due fratelli della famiglia Kani, Mohsen e Abdelazim, e Abdelwahab al Maqri, protagonisti della guerra tra milizie che aveva già insanguinato Tripoli nell’agosto dell’anno scorso e dalla cui prepotenza rissosa Haftar il 4 aprile voleva ripulire la capitale.

Nell’incontro tra Serraj e Conte ufficialmente si sa solo che Conte ha ripetuto la formula di rito «non esiste una soluzione militare della crisi libica», ma è chiaro che con il premier italiano sia Serraj che Macron hanno parlato di molto altro, dai flussi di immigrazione in previsione della riunione del 23 settembre a Malta dei «paesi europei volenterosi» al percorso per rimettere in moto un processo di stabilizzazione dell’ex quarta sponda attraverso la conferenza internazionale che la Germania ospiterà a novembre a Berlino.

E poi degli accordi di pesca recentemente siglati in autonomia da alcune associazioni di pescatori siciliani con il governo ribelle di Bengasi e dell’autostrada costiera che Impregilo dovrebbe ricostruire sul tracciato della vecchia via Balba tra la frontiera tunisina e quella egiziana, finanziata dall’Italia in ottemperanza all’accordo post coloniale firmato da Gheddafi e Berlusconi nel 2008: 1.700 km per uno stanziamento di 250 milioni l’anno per vent’anni, progetto rispolverato in queste ore dall’ambasciatore italiano a Roma Omar Tarhuni con il ministero dei Trasporti italiano, riferisce Agenzia Nova.

In ogni caso Conte non ha nessuna intenzione di cedere il dossier Libia alla Farnesina di Luigi Di Maio, avendo per altro già organizzato da Palazzo Chigi la conferenza di Palermo a novembre, insofferente delle intromissioni successive dell’ex alleato Matteo Salvini.