Vice presidente degli Stati Uniti o predicatore evangelico? Cosa sia Mike Pence non è chiaro dopo aver ascoltato il discorso che ieri ha pronunciato alla Knesset pieno di riferimenti biblici. O semplicemente è tutte e due le cose. Non è strano nell’era di Donald Trump in cui le risoluzioni internazionali sono carta straccia e la religione viene usata come una clava. Per un governo ultranazionalista e religioso, come quello del premier israeliano Netanyahu, è stato un dovere, oltre che un piacere, riservare a Pence un’accoglienza simile se non addirittura più calorosa di quella data a Trump lo scorso maggio. Pence è stato uno dei principali ispiratori della dichiarazione con cui lo scorso 6 dicembre la Casa Bianca ha riconosciuto Gerusalemme come la capitale d’Israele. «È giusto che sia tu ad essere il primo vice presidente Usa a rivolgersi alla Knesset di Gerusalemme perché nessun altro vice presidente americano ha avuto un impegno maggiore verso Israele», gli ha detto Netanyahu. Pence ha subito ricambiato la cortesia. È un «grande onore e «un privilegio essere nella capitale di Israele, Gerusalemme».

In quei momenti a Bruxelles, il presidente palestinese Abu Mazen sollecitava l’Unione europea a riconoscere subito lo Stato di Palestina. Ha ottenuto solo la rassicurazione che l’Europa continuerà a sostenere la nascita uno Stato palestinese, con Gerusalemme capitale di due Stati. A mezza bocca gli europei hanno detto ad Abu Mazen di non respingere senza prima discuterlo il “piano” Usa per il Medio Oriente. «Non è il tempo di disimpegnarsi – gli ha detto l’Alto rappresentante della politica estera dell’Ue Federica Mogherini- Al contrario palestinesi e israeliani devono mostrare più di prima il loro impegno verso la comunità internazionale, con gli attori chiave del processo, di modo che possano lavorare per un risultato negoziato». Abu Mazen può scordarsi che l’Ue prenda il posto degli Usa a un eventuale tavolo di trattativa tra israeliani e palestinesi entrando in aperto conflitto con Washington e Tel Aviv. Alcuni Stati però dovrebbero autonomamente riconoscere lo Stato di Palestina. La Slovenia, si dice, lo farà il mese prossimo, seguita da Belgio, Irlanda e Lussemburgo.

Il momento più importante della visita di Mike Pence a Gerusalemme e in Israele è stato il discorso alla Knesset. Cacciati fuori tra gli applausi dell’assemblea i deputati arabi che avevano protestato e issato cartelli con la scritta “Gerusalemme capitale della Palestina”, il vice presidente Usa ha pronunciato una sorta di omelia. «Oggi – ha esordito Pence – mentre mi trovo nella terra promessa di Abramo, credo che quanti amano la libertà e auspicano un futuro migliore debbano volgersi verso Israele e provare meraviglia per quanto vedono». È stata la fede «a ricostruire le rovine di Gerusalemme e a fortificarle nuovamente», ha affermato il vice presidente Usa pronunciando la “shehechiyanu” la benedizione ebraica. «Sono qui per portare un forte messaggio: la vostra causa è la nostra causa, i nostri valori sono i vostri valori. Siamo schierati con Israele perchè crediamo nel bene e nel male, nella libertà sopra la tirannia», ha proseguito facendo un parallelo fra la storia degli ebrei e quella degli Stati Uniti. «È la storia di un esodo, un viaggio dalla persecuzione alla libertà», ha affermato in trance religiosa, ricordando come i padri pellegrini che per primi arrivarono in America si rivolgessero «alla saggezza della Bibbia ebraica». Quindi proclamandosi fiero che Donald Trump abbia «corretto un errore di 70 anni», Pence ha annunciato che l’ambasciata Usa ora a Tel Aviv sarà trasferita nella città santa entro il 2019. Infine, dopo aver esortato i palestinesi ad andare al tavolo delle trattative (alle condizioni di Israele e degli Usa, ndr), ha pronunciato una sorta di dichiarazione di guerra all’Iran ribadendo che Trump non certificherà più l’accordo sul nucleare firmato anche dagli Usa nel 2015.

«Le parole di Pence sono semplicemente ridicole» ha detto al manifesto Hanan Ashrawi, del Comitato esecutivo dell’Olp. «Gli Stati Uniti non possono parlare del processo di pace dopo averlo minato riconoscendo Gerusalemme come capitale d’Israele», ha spiegato «Pence sostiene di parlare secondo il volere di Dio. Allora gli dico che Dio non vuole l’ingiustizia per i palestinesi, noi apparteniamo a questa terra, abbiamo diritti inalinabili sulla nostra terra». Immediata anche la reazione di Saeb Erekat il caponegoziatore dell’Olp al discorso di Pence. «Il suo discorso messianico è un regalo agli estremisti e ha dimostrato che l’Amministrazione Usa è parte del problema piuttosto che la soluzione» ha detto. Contro Pence, in visita oggi al Muro del Pianto e nella città vecchia di Gerusalemme, i palestinesi hanno proclamato un “Giorno di Rabbia” e uno sciopero generale nei Territori occupati.