Ci sono certezze inaffondabili nella vita del cinefilo/amante delle serie tv: la più importante è che non esistono, un po’ come il Fight club di Chuck Palahniuk, vere certezze. Sì, perché si può essere fan sfegatati dell’A-team, di Macgyver, anche dell’ultima, avvincente, deriva su piccolo schermo di Arma letale, e però, bisogna essere sempre preparati: da un momento all’altro quei divi machi, muscolo scolpito nella roccia, fucili in mano e battute testosteroniche, potrebbero mettersi a ballare e cantare come delle Gloria Gaynor indiavolate alle prese con I Will Survive.

Si potrebbe pensare che siano solo eccezioni, che un serissimo telefilm di nobili e conti nell’Inghilterra del ’900 ne sia immune, ma non è così: l’arrivo della puntata, o dell’incredibile momento musicale, in serie tv che non hanno niente di musicale colpisce tutti e non esiste purtroppo cura.
Eppure sono proprio questi strani segmenti, molte volte, a rendere ancora più memorabili i telefilm. Qui di seguito eccone alcuni tra i più pazzi, epici e cult che la storia della tv ricordi.

BUFFY L’AMMAZZAVAMPIRI 
«Nothing here is real/ Nothing here is right» (dal pezzo Going through the Motions in Buffy l’ammazzavampiri, Buffy the Vampire Slayer)
Buffy l’ammazzavampiri è un serial degli anni ’90, diventato con gli anni un vero fenomeno di culto. Il merito è del regista Joss Whedon, ora assoldato con gioia nel mondo dei cinecomix alla Avengers, ma un tempo giovane dalle belle speranze con alle spalle un flop al cinema che per assurdo era proprio Buffy l’ammazzavampiri (1992).
Il film con il Luke Perry di Beverly Hills 90210 e la Kristy Swanson del cult horror Dovevi essere morta di Wes Craven, era troppo bizzarro per piacere alle masse che affollavano i multisala, ma forse non per il piccolo schermo. Col cast rinnovato e l’entrata in scena dell’attrice Sarah Michelle Gellar, l’unica Buffy Summers da ricordare negli anni, il telefilm fece breccia nel cuore dei teenager Usa, affascinati dal miscuglio tra il mondo dei supereroi, la commedia adolescenziale tipo La bella in rosa e gli orroracci a base di mostroni in lattice e sangue artificiale.
Buffy l’ammazzavampiri, 7 stagioni, 144 episodi, uno spin off, Angel, videogiochi e persino un prosieguo a fumetti, raccontava con ironia la storia di una giovane ragazza alle prese con il difficile ruolo di salvatrice dell’umanità in un’età problematica come l’adolescenza. La serie è ricordata anche per avere affrontato temi poco sdoganati nella tv commerciale anni ’90 come l’omosessualità o la droga nel mondo dello sport. Se però chiedete a un qualsiasi fan ancora in lutto, dopo la chiusura del telefilm nel 2003, qual è la puntata più memorabile delle 144, è facile che lui risponda: «Once More with Feeling».
Si tratta del settimo episodio della sesta stagione (in italiano «La vita è un musical») ed è completamente ballato, cantato e coreografato come fosse un musical di Broadway. La ragione è che Joss Whedon non si limita a girare un segmento bizzarro e nonsense, ma si inventa un «barbatrucco» geniale: per via della maledizione di un demone tutti i protagonisti sono costretti a muoversi come degli indiavolati Leroy in Saranno famosi. Il bello è che le canzoni sono davvero molto efficaci, tanto da giustificare l’acquisto della colonna sonora della puntata, e in più il bacio finale tra Spike il vampiro e Buffy la cacciatrice di demoni è uno di quelli che fa tirare un sospirone innamorato a tutte le fan. Se Sarah Michelle Gellar non è proprio intonatissima, gli altri membri del cast invece stupiscono come Anthony Head (Giles l’osservatore), laureato comunque alla London academy of music and dramatic art, e James Marsters (il già citato Spike), fondatore, tra l’altro, della band Ghost Of The Robot.

SCRUBS – MEDICI AI PRIMI FERRI
«We’re best friends just like/ Amoxicillin and clavulanic acid!/The tibia, the fibula!/ The left and right ventricle!» (dal pezzo Friends Forever in Scrubs)
Difficile trovare una vena ironica in un serial che parla di dottori, malattie e disgrazie croniche sempre che non si è in una commedia demenziale come Facoltà di Medicina – Qui non si sana con Steve Guttenberg o nel pazzo videogioco per psx Theme Hospital. Eppure la tv ha saputo compiere l’inaspettato, il miracolo che era difficile pensare fosse possibile: ha popolato i suoi serial di medici dalla battuta pronta, di liaison amorose batticuore e storie divertenti tra le corsie disgraziate degli ospedali.
Così il mondo ha amato il cinismo, a volte sfrontato, di Dr. House – Medical Division, ha sospirato per le relazioni sentimentali di Grey’s Anatomy, ma soprattutto ha sorriso per Scrubs – Medici ai primi ferri, un serial eccezionalmente in bilico tra umorismo e tragedia.
In una puntata della sesta stagione, «My Musical», proprio di Scrubs, arriva il momento musicale inaspettato con dottori e pazienti intenti all’improvviso a cantare come usignoli. Anche qui la motivazione non è semplice desiderio di creare un episodio canterino, ma ci si immagina che una paziente, per via di un gigantesco aneurisma al cervello, in procinto di esplodere se non operato, veda tutto il mondo intorno come un musical.
Naturalmente, come la cifra stilistica della serie è sempre stata, si riesce ad affrontare, in maniera frivola ma non superficiale, una tematica che altrove sarebbe stata oggetto di un melodramma tutto lacrime e commozione ma che in questo caso ci fa divertire col piedino che si muove al ritmo di incalzanti canzoni.
L’episodio vinse diversi premi e fu eletto dalla prestigiosa rivista TV Guide come uno dei migliori episodi mai girati di una serie tv. Non male per una puntata entrata sì nella leggenda, ma che ebbe anche gli ascolti più bassi della storia del programma.

FUTURAMA
«I agreed that I’d give him my hand» (dal pezzo Leela: Orphan Of The Star in Futurama)
A Matt Groening sicuramente piacciono i musical tanto che in una puntata dei suoi famosi Simpson fa ballare tutta la città di Springfield. Si tratta dell’episodio «Tutti cantano tutti ballano» (puntata 11, nona stagione) dove Homer, appassionato di Clint Eastwood, noleggia la vhs de La ballata della città senza nome (Paint Your Wagon), un anomalo western con pezzi musicali, restando immancabilmente deluso.
È solo l’inizio perché sebbene il giallo eroe sovrappeso dichiari fermamente «odio cantare», da lì a poco intona la prima strofa delle molte melodie presenti nell’episodio. Puntata bellissima alla quale, però, preferiamo The Devil’s Hands Are Idle Playthings, segmento conclusivo della quarta stagione di Futurama, altra opera di Groening dalle tematiche questa volta fantascientifiche. In quello che si vociferava dovesse essere l’ultimo episodio della serie per via di un preoccupante calo di ascolti, gli sceneggiatori si sbizzarrirono creando una puntata canterina ispirata al Faust di Goethe (e quindi all’omonimo dramma lirico in cinque atti di Charles Gounod) con un diavolo cybernernetico chiamato appunto Robodiavolo che patteggia l’anima di Fry in cambio della mano della bella Leela da un occhio solo.
Anche in questo caso non tardarono gli apprezzamenti della critica tanto che il compositore delle musiche, Ken Keeler, venne nominato per un Emmy, mentre la canzone I Want My Hands Back fu lì lì per vincere gli Annie Awards, il massimo riconoscimento per un’opera d’animazione.

XENA – PRINCIPESSA GUERRIERA 
«This damaged past can never heal/ Until this nightmare book is closed» (dal pezzo Dead?/Hearts Are Hurting in Xena :Warrior Princess)
Xena – Principessa guerriera è una serie tv nata dalla costola del celebre Hercules, con la stessa idea di mitologia pop spensierata. Xena, però, viene ricordata anche come un’opera estremamente coraggiosa nella storia della televisione perché pone, al centro di una struttura peplum classica, non il classico uomo forzuto, ma una donna, una delle prime eroine della tv smaccatamente gay. L’amicizia prima e l’amore in seguito con la bella Olimpia (in originale Gabrielle) hanno il suo apice nella puntata «Xena e la ruota del fato» («The Bitter Suite»), il primo excursus tvinteramente musicale di un’opera non musicale.
In questo episodio, la morte dei loro figli porta le due amiche a odiarsi e quasi a uccidersi in un feroce duello finché non capitano, sogno o realtà, ad Illusia, una terra misteriosa dove per essere capiti bisogna cantare. La storia segue il linguaggio simbolico dei tarocchi con alcuni personaggi, come la malvagia Callisto, qui a rivestire i panni delle figure cabalistiche del mazzo. Un segmento non semplice a livello narrativo, soprattutto per il pubblico medio, ma reso più godibile dai momenti musicali eccelsi come con la canzone The Bitter Suite, nominata a ben due Emmy Awards.
Al compositore Joseph Lo Duca e al suo paroliere Denis Spiegel, «Xena e la ruota del fato» valse anche diverse altre nomination per le canzoni Hearts Are Hurting e la struggente The Love of Your Love che riporta all’amore le due guerriere divise dal fato. Di ben altra pasta, almeno a livello narrativo, è «Lyre, Lyre, Hearts on Fire» («Xena e la lira di Tersicore»), dove a fungere da cornice per i numeri musicali è un torneo canterino con in palio una magica lira. Laddove in «Xena e la ruota del fato» la drammaticità della storia era palpabile, qui invece è tutto più sbarazzino e disimpegnato con una prorompente anima rock a muovere le canzoni (è presente persino una versione heavy metal della sigla della serie). «Lyre, Lyre, Hearts on Fire» è divertente, molto funny, con la protagonista Lucy Lawless che balla con il suo visibile pancione da futura mamma. In più fa capolino una struggente versione di We Can Work It out dei Beatles cantata da Xena e Olimpia.

SUPERGIRL/THE FLASH
«There’s at least one power that we both still have/And that’s the power of/Friendship» (dal pezzo Super Friend in Supergirl)
La Dc è riuscita in questi ultimi anni ad imporsi nel settore televisivo trasportando sul piccolo schermo i suoi eroi più famosi, Supergirl, Flash, Green Arrow in serie molto immaginifiche sul piano narrativo, ma anche molto spensierate, a differenza dei cupissimi excursus su grande schermo con Batman e Superman. È stato anche questo un modo per imporsi sul mercato dove la parte del leone la fa la nemica Marvel con prodotti al contrario più frivoli al cinema e più seriosi in tv.
Supergirl ha vissuto un momento dove era lì lì per essere chiusa e solo l’invenzione di un episodio ballerino l’ha salvata dalla cancellazione riportando la serie a un successo insperato. Nell’episodio «World’s Finest» spiccano per alchimia i duetti tra due protagonisti Melissa Benoist e Grant Gustin, una coppia che già nel telefilm Glee faceva scintille. È però in «Duet», episodio della serie gemella The Flash, che la collaborazione tra i due raggiunge vette qualitative incredibili. Non stupisca che il produttore esecutivo di entrambe le serie, Andrew Kreisberg, ha raccontato in diverse interviste di essersi ispirato per questo episodio a «Once More with Feeling» di Buffy l’Ammazzavampiri, un punto di confronto per qualunque telefilm che si voglia addentrare nel musical.
Per un’ora lo spettatore dimentica i folli piani del criminale di turno per distruggere la terra, viene catapultato in uno spettacolo musicale anni ’50 con Melissa Benoist che canta Moon River sul palco vestita da Audrey Hepburn, un universo parallelo senza uscita dove l’unico modo per tornare al reale è seguire il copione dello show fino alla fine. Con questa scusa si ascoltano classici come West Side Story e Il mago di Oz, ma anche la bellissima Running Home to You, scritta da Benj Pasek e Justin Paul, i compositori del celebre premio Oscar La La Land. Forse questo è l’episodio più emozionante tra quelli citati con due attori in sintonia incredibile, comici, empatici, con quella vena di erotismo inesploso che ricorda le Ginger Rogers e i Fred Astaire di un cinema che non esiste più.

SOLO UN ISTANTE
Ci sono poi serie tv che non hanno una vera puntata musicale ma vivono momenti musicali che valgono un’intera puntata. È il caso di Sense8, un telefilm delle autrici di Matrix, Lana e Lilli Wachowski, forse le prime registe trasgender della storia del cinema, che affronta in maniera spettacolare, con derive action e spionistiche, uno dei temi più cari all’uomo: l’amore. I personaggi di Sense8, otto persone dalla vita diversa ma legati da un contatto mentale, sono alla ricerca della libertà, cacciati da un mondo che odia il diverso perché non lo comprende e non lo accetta.
È uno degli show più smaccatamente gay friendly con riprese di enormi e coloratissimi pride party dove i nostri eroi ballano e si baciano, siano essi etero, omosessuali o più semplicemente innamorati dell’amore. Nella puntata 4 della prima stagione, «What’s Going on?» diretto dal regista di Lola corre e Profumo, Tom Tykwer, è un karaoke a unire le storie dei protagonisti: Wolfgang canterà una canzone, What’s up dei 4 Non Blondes, e a poco a poco tutti i suoi fratelli, persi in varie parti del mondo, si uniranno a lui in un momento tra i più toccanti mai visti in un prodotto tv che diventa grande cinema.
In poco più di dieci minuti una fuga da un ospedale col pericolo di una lobotomia, un matrimonio imposto, una famiglia che ti soffoca, l’incubo di un padre padrone si assottigliano fino a scomparire nell’abbraccio di una famiglia, un abbraccio impossibile eppure così confortevole.
Il telefilm con il quale vogliamo chiudere è American Horror Story, una serie ideata da due appassionati di musica e musical, Ryan Murphy e Brad Falchuk, autori, tra gli altri,del dramma adolescenziale Glee, climax del serial canterino per ragazzi. Le opere dei due sono sempre attente a scelte non banali per la colonna sonora, siano gli orrori slasher di Scream queens con hit anni ’80 siano le tragedie chirurgiche di Nip/Tuck.
In American Horror Story, nelle sue 7 stagioni, uno dei momenti più emozionanti è la sequenza in «Hotel», quinta stagione, commentata dalle note degli She Wants Revenge e della loro Tear You Apart: si inizia innocentemente con un gioco di sguardi tra due coppiette in un cinema all’aperto che proietta il Nosferatu di Murnau per finire in un amplesso sanguinoso e omicida. Nell’episodio i vampiri di Lady Gaga e Matt Bomer evocano gli amanti dannati, Catherine Deneuve e David Bowie, del bellissimo Miriam si sveglia a mezzanotte di Tony Scott. La regia dello stesso Ryan Murphy si ispira chiaramente ai videoclip anni ’80, principalmente ai The Cure di Charlotte Sometimes, fotografato da Mike Mansfield.
Da segnalare, questo veramente coreografato come un musical, il segmento di American Horror Story, «Asylum», seconda stagione, dove una stralunata Jessica Lange balla la canzone anni ’60 di Shirley Ellis, The Name Game, con il resto degli attori scatenati in folli danze. Un momento che arriva inaspettato dopo suore sadiche, alieni rapitori, monsignori libidinosi e intrecci lesbo drammatici. La stessa Lange in American Horror Story, episodio «Freak show», quarta stagione, truccata da David Bowie si lancia in una sentita cover di Life On Mars? con lo scenario di cartone che riporta agli albori del cinema dei fratelli Lumière.
Siamo qui però in un territorio che esula dalle serie tv e si colora di capolavoro, grazie come sempre alla magia della musica, perché per parafrasare il nostro Flash in duetto con Supergirl: «Sono le canzoni a rendere splendido il mondo». Come dargli torto.