Donne, ragazze e soprattutto bambini scomparsi erano il punto di partenza dell’indagine dei detective interpretati da Matthew McCounaughey e Woody Harrelson nella bellissima prima stagione di True Detective creata da Nick Pizzolatto (regia di Cary Fukunaga), rimasto come showrunner anche per la seconda stagione – che ha avuto molta meno fortuna. Anche per questo la terza arriva nel 2019 dopo una pausa di ben tre anni – e riprende (sulla carta) la struttura e le suggestioni della serie «originale» – a partire dall’ambientazione fuori dalle grandi città (dal bayou al centro-sud dell’altipiano d’Ozark negli States), la struttura temporale che alterna epoche diverse e soprattutto la scomparsa di alcuni bambini, il crimine angosciante dal quale prenderà avvio la vicenda.

CRIMINI inimmaginabili e serial killer efferati – che al bisogno di comprendere il perché del male oppongono il caos di moventi destinati a restare avvolti dal mistero – hanno un fascino morboso che attraversa i decenni ma sembra oggi di particolare attualità, come ben dimostra un’altra serie che torna con la seconda stagione nel 2019, Mindhunter di David Fincher, basata sulle memorie di uno dei primi profiler delle menti criminali, John E. Douglas.

La stagione 2 sarà ambientata fra il 1979 e l’ 81 – farà una breve comparsa anche Charles Manson interpretato dallo stesso attore, Damon Herriman, che ne veste i panni nell’attesissimo film di Tarantino Once Upon a Time in Hollywood – nel pieno degli Atlanta Child Murders: 28 omicidi di bambini e adolescenti african american nella capitale della Georgia. Una storia che consentirà al creatore Joe Penhall e a Fincher di attraversare anche un altro tema di particolare attualità, specialmente nell’America di Trump – la frattura razziale che attraversava e attraversa la società Usa, tanto che su quei crimini – e sull’incarcerazione del serial killer Wayne Williams, anche lui nero – aveva scritto un libro James Baldwin: The Evidence of Things Not Seen.

Bianchissimo, insospettabile, con la faccia «da bravo ragazzo» è invece Ted Bundy, un altro dei più famosi serial killer made in Usa a cui Netflix dedica una docu-serie basata sulle sue confessioni in carcere.
Jordan Peele, che in Get Out aveva ricondotto al genere horror il passato non passato dello schiavismo, ha invece affermato che nel suo nuovo film in uscita nel 2019 – Us, ancora horror – il filo rosso della storia non sarà stavolta il razzismo, ma che comunque le «storie di mostri» consentono di affrontare le paure più recondite della società. Sarà senz’altro vero anche per un’altra serie in uscita di cui Peele è produttore e narratore al posto che fu di Rod Serling: il «sequel» della magnifica Ai confini della realtà.