Sergio Vatta è stato un maestro del calcio giovanile, ci ha lasciato qualche giorno fa. Era nato a Zara e vissuto a Torino. Dai piemontesi aveva preso il rigore, nel lavoro dei dalmati si portava dietro la determinazione e qualche imprecazione che gli scappava quando i ragazzi in campo facevano qualche cavolata. Ha guidato il settore giovanile del Torino dal 1976 al 1991 dalle cui fila sono usciti grandi campioni come Vieri, Lentini, Dino Baggio, Fuser, Mandorlini, Carbone, Cois, Crevero e altri. Per qualche mese è stato sulla panchina del Torino in serie A, quando nel 1989 subentrò a Claudio Sala, sostituito perché la squadra granata era ormai precipitata in zona retrocessione e infatti quell’anno finì in serie B. Dopo l’esperienza con il Torino, assunse l’incarico di allenatore e dirigente delle nazionali di calcio under 16 e 17, dove fece esordire Francesco Totti, Alessandro del Piero, Andrea Pirlo, Alessandro Nesta, Massimo Ambrosini.

Il tiro preciso
Nel 1998 passò ad allenare la nazionale femminile di calcio, destando stupore nel calcio che conta, impregnato di pregiudizi maschilisti. Quelli che dirigono i club importanti lo ritenevano sprecato nel calcio femminile, invece portò la nazionale alle fasi finali dei mondiali. Noi che lo abbiamo conosciuto, sappiamo che era molto avanti sia sul piano tecnico che delle idee, e un giorno ci confessò che le calciatrici hanno un tiro più preciso degli uomini e che hanno una visione più collettiva del gioco del calcio. Ci parlava con stupore degli stadi dei Paesi del nord Europa, pieni di 70-80 mila persone, quando giocava la nazionale femminile.

Lamentava di un calcio malato fin dal settore giovanile del quale fu un maestro apprezzato in tutta Europa. Infatti, riteneva esagerato che ragazzi di 12 anni del settore giovanile di una squadra di serie A avessero un contratto annuo di 50-60 mila euro. Quei ragazzini guadagnavano più soldi dei loro papà, che si spezzavano la schiena alla catena di montaggio alla Fiat di Torino o altrove. Puntava il dito contro il potere abnorme che quei ragazzi acquisivano in famiglia fino a ribaltare i rapporti con i genitori.

L’occasione
Ai giovani calciatori del Torino, delle nazionali under 16 e 17 e della Lazio dove chiamato da Sergio Cragnotti allenò il settore giovanile della squadra biancoceleste dal 1998 al 2001, ricordava che vivevano solo un’occasione per entrare nel mondo del calcio che conta e non un passaggio certo, perciò raccomandava di non abbandonare gli studi, come in tanti avevano fatto, perché in caso di sogno infranto un diploma contava per trovare lavoro. Non si stancava mai di ripeterlo, perché tanti ne aveva visti a Torino e altrove, passare dalle giovanili della serie A all’eroina. Lo diceva anche ai ragazzi greci, quando dal 2004 al 2006 fu chiamato dal Paok a dirigere il settore giovanile.

Platini granata
Nessuno conosceva quel mondo così bene come Sergio Vatta. Sapeva individuare i talenti e per il club granata partì per ben due volte verso la Francia per visionare un giovanissimo Michel Platini. Ai titubanti dirigenti del Torino che gli chiesero in quale ruolo potesse giocare, rispose in qualsiasi ruolo e squadra del mondo, ma non lo ascoltarono. Platinì finì comunque per giocare a Torino ma nella Juventus.

Era all’avanguardia sugli schemi di gioco, ma soprattutto sapeva parlare a quei promettenti ragazzini, poi diventati stelle del calcio mondiale da Totti a Del Piero. Sapeva entrare nel loro animo favorendo tra i quindicenni una volta alla settimana la discussione libera nello spogliatoio, dove si parlava di problemi adolescenziali dal sesso al tempo libero. Denunciava la feroce concorrenza, che si scatenava tra loro per conquistare un posto di titolare in squadra, che spesso rasentava la cattiveria. Molti non reggevano l’urto e abbandonavano il calcio.

Tratta di baby calciatori
Quando realizzammo un’inchiesta sul traffico di baby-calciatori africani in Italia, documentando con dati alla mano quanto avveniva nel sottobosco del calcio ad opera di spregiudicati figuri che si spacciavano per procuratori, prelevando a man bassa ragazzini in Africa per proporli ai club delle squadre di serie A e B, salvo abbandonarli per strada in caso di esito negativo, suggellò l’inchiesta con le sue dichiarazioni pubbliche. Non si limitò a confermare l’esistenza del problema e la collusione di club di squadre di serie A che indirettamente alimentavano quella tratta, puntò il dito contro spregiudicati procuratori, non autorizzati ad operare dalla Fifa, che anche in Italia si aggiravano tra i campi di periferia, promettendo ai ragazzi e alle loro famiglie l’Eldorado. Quando il senatore dei Verdi Fiorello Cortiana, responsabile sport dell’Ulivo del primo governo Prodi, venuto a conoscenza dei risultati di quella nostra inchiesta fece un’interpellanza al ministro competente e organizzò una conferenza stampa al Senato, Sergio Vatta non esitò a presentarsi e a denunciare insieme a noi la tratta dei baby calciatori africani. Fece di più, telefonò a due suoi pupilli che aveva lanciato nelle nazionali giovanili, e chiese loro di presentarsi alla conferenza stampa: erano Francesco Totti e Alessandro Nesta. Erano tempi in cui non bisognava passare per il rigido consenso dell’ufficio stampa. Fu una trovata che portò alla comparsa di Giulio Andreotti, noto tifoso giallorosso.

Il talent scout della sfera di cuoio italiana era consapevole della fragilità di quei ragazzini che era chiamato ad allenare e a lanciare nel calcio che conta. Era cosciente delle conseguenze positive, come il salto nella serie A, o negative come il sogno infranto del grande calcio. A quei ragazzi, alcuni dei quali hanno portato l’Italia al titolo mondiale nel 2006, ricordava che solo uno ogni cinquantamila arrivava a giocare in serie A e uno ogni trentamila aspiranti calciatori finiva tra la serie B e la serie C. Sergio Vatta è stato un uomo di altri tempi e di un altro calcio. È stato un maestro, che ha sempre voluto lavorare nel settore giovanile, diceva che quello era il suo mondo.